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L'esordiente Courtney Hunt scrive e dirige un film poco retorico e conciso nelle immagini, semplice per sceneggiatura e fotografia; ma il tema è sicuramente di rilievo, carico di spunti e riflessioni, capace di coinvolgere lentamente lo spettatore fino ad un crescendo d'intensità che chiama in causa le diverse componenti della trama, quasi a fare della pellicola un thriller o addirittura un noir. La storia è semplice, realistica: una giovane donna bianca, abbandonata dal marito e con due figli a carico, non è più in grado di garantire economicamente per la propria famiglia e per questo si avventura con l'aiuto di una ragazza indiana nel trasporto clandestino di immigrati cinesi e pachistani, dentro il bagagliaio di un'automobile, attraverso il fiume ghiacciato che separa il Canada dalla parte nord-orientale degli Stati |
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Uniti: un traffico che, al di là dell'illegalità che lo caratterizza, è in realtà animato dalla ricerca disperata di soldi e dalla necessità di proteggere i propri cari in qualunque modo, anche a costo di infrangere le dure leggi federali sull'immigrazione. Il film merita di essere visto per i temi trattati e anche per il taglio che la regista dà al suo primo lungometraggio: certe atmosfere ricordano le situazioni problematiche e difficili dei film di |
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John Sayles mentre la sensazione che ricaviamo è quella di un'America di periferia e di confine, non solo geograficamente parlando: negli spazi innevati di questi paesaggi montuosi si muove un'umanità sfortunata, emarginata dalla società neocapitalistica e relegata nella miseria dalle conseguenze della crisi economica, incapace quasi di sopravvivere alla propria indigenza, ma ancora pronta a gesti di solidarietà personale o di carità umana. Sono le storie di questi umili, americani e indiani che vivono in roulotte o container, immigrati nascosti nei bagagliai di automobili o poliziotti alla loro caccia, a dare colore e spessore a questa pellicola, rendendo lo spettatore partecipe di un mondo che si avvicina molto più al reale di tanti altri prodotti cinematografici maggiormente declamati: ed è a questo proposito che i diversi premi che il film ha ricevuto (tra cui quello del Sundance Festival) sono un giusto riconoscimento, così come lo è la candidatura all'Oscar dell'attrice protagonista, una brava e mai sopra le righe Melissa Leo. Non si tratta di un'opera di denuncia ma, più semplicemente, di un film di presa di conoscenza di un'altra realtà che esiste concretamente fuori dalle nostre case: lo stesso "frozen river" è metafora dell'impossibilità di un miglioramento sociale e quindi dell'immobilità predestinata dell'ambiente che ci circonda. Ma questo non esclude il diritto e il dovere alla lotta, alla battaglia per la propria vita, per i propri figli e per la speranza in un futuro migliore; anzi, è un impegno quanto mai inderogabile, di cui si fa portavoce il cinema indipendente americano che vede in "Frozen river" un altro felice risultato, tenendo poi conto che la pellicola è costata pochissimo.
(di Michele Canalini)
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