FROM PARIS WITH LOVE
 
locandina from paris with love

recensione From Paris with Love

 
Ragazzi, occhio, c'è Luc Besson che pensa! Gli è venuta un'idea per un film, silenzio per favore. sta partorendo. eccola: "un taxi sfreccia per Marsiglia a tutta velocità". Magnifica, con questa ce ne facciamo almeno 4, di film! Ne sta avendo un'altra: "un audi nera sfreccia per Marsiglia a tutta velocità". Fantastica. Un'altra ancora: "Liam Neeson imperturbabile arriva a Parigi e ammazza tutti". Wow! E' un fiume in piena: "John Travolta maraglio arriva a Parigi e ammazza tutti". Un genio!... Forza, ragazzi, non perdiamoci in salamelecchi, di corsa a girare che Luc Besson non ha tempo, deve sfornare altre idee. Nonché scrivere la saga di Arthur e il popolo dei Minimei. Ma Luc Besson non è quello di Nikita e Leon? Sì, sì, è sempre lui. Ma che gli è successo? Eh sai, Milla Jovovich. Tutto vero, o quasi. E così dall'ultima, nefasta,  
 
idea di Luc Besson è nato questo From Paris with love, action a tutto spiano diretto da uno dei tanti scagnozzi del regista francese, quel Pierre Morrel che già diresse senza entusiasmarci il precedente Io vi troverò. Là c'era Liam Neeson qua c'è John Travolta in vacanza premio in Europa che, come già in Pelham 123, si concia in maniera improponibile forse per non essere riconosciuto, forse perché negli ultimi tempi non   recensione from paris with love

gli riescono nemmeno gli spot della tim con Michelle Hunziker. E' lui il killer smargiasso che viene affidato all'inesperto Jonathan Rhys Meyers per distruggere una cellula terroristica islamica, compito che il nostro, tra una mitragliata, un rutto e una risata, assolve in un pomeriggio circa mandando al creatore metà di tutti gli extracomunitari parigini. Rhys Meyers dal canto suo, in un ruolo la cui logica e la cui congruità francamente sfuggono a qualsiasi analisi, fa quello che gli riesce meglio: portare camice bianche sbottonate sul petto. Peculiarità che se già di per sé richiede notevole sforzo in From Paris with love è resa ancora più gravosa dal dover trasportare per gran parte di film un vaso cinese pieno di coca. A dispetto del regista che tenta di sfondare l'impianto acustico della sala a furia di spari e colpi ed esplosioni che frantumano i timpani - e lì si esaurisce tutto il suo apporto di cineasta - l'unico rumore che alla fine emerge è il cigolio della sceneggiatura che aumenta ad ogni fotogramma che passa attraverso l'obiettivo del proiettore. Di contorno le solite sequenze spasmodiche, il solito montaggio frenetico, i soliti inseguimenti iperbolici, le solite estenuanti sparatorie. Apoteosi finale da incubo. Non si sprofonda solo grazie ad un paio di battute ben assestate da Travolta. Film utile quanto un solarium in mezzo al deserto. E Besson? Pensa. Ah beh.

(di Mirko Nottoli)


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