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Rebecca è una
giovane americana
venuta a vivere a
Gerusalemme e disposta
a vivere lì
con il futuro marito.
Ma qualcosa va storto,
la ragazza rompe il
fidanzamento e, in
preda allo sconforto,
sale sul taxi di Hanna,
un’israeliana.
Ma Hanna ha una missione
da compiere e non
può aspettare:
deve arrivare in Giordania,
nella cosiddetta “Free
Zone” e riscuotere
una grossa somma di
denaro per conto del
marito. Dopo varie
vicissitudini, le
due donne riusciranno
ad arrivare a destinazione,
per scoprire che i
soldi sono spariti…
là incontrano
anche Leila, una palestinese
che, volenti o nolenti,
le coinvolgerà
in una vicenda più
grande di loro. Un
po’ documentario
e un po’ indagine
psicologica, il film
diretto da Amos Gitai
spiazza lo spettatore,
a partire dal modo
in cui è girato,
con la continua sovrapposizione
del flashback al rac- |
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conto
presente,
e sconcerta
anche
per
l’ambientazione:
Free
Zone
infatti
si svolge
quasi
interamente
all’interno
di un’automobile.
La visione
del
pubblico
è
filtrata
per
tutto
il tempo
dal
finestrino
dell’auto.
Il film
prende
come
pretesto
una
storia
banalmente
inserita
nella
quotidianità,
per
arrivare
a toccare
tematiche
ben
più
delicate
e profonde,
in primis
gli
scontri
sanguinari
tra
Israeliani
e Palestinesi.
Il risultato |
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non è
particolarmente
coinvolgente,
proprio a
causa delle
scelte “stranianti”
e dell’occhio
distaccato
di Amos Gitai.
Tuttavia ci
sono momenti
notevolissimi,
come l’iniziale
pianto di
Rebecca (un’intensa,
bellissima
Natalie Portman),
accompagnato
da un’ossessiva
filastrocca
(una versione
violenta e
“attualizzata”
della nostra
popolare “Alla
fiera dell’est”),
o la parte
in cui le
tre donne
sono tutte
insieme in
auto e si
muovono al
ritmo della
stessa musica,
trovando per
un attimo
una strana,
inaspettata
sintonia…
(di Margherita
Sanjust
di Teulada)
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recensione del
film "Free
zone"! |
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