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FRANK
GEHRY CREATORE DI SOGNI |
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Uno scarabocchio su
un foglio. Uno scarabocchio,
nel vero senso del
termine: scarabocchio.
Non è nulla
di più il primo
schizzo che Frank
O. Gehry, uno dei
più celebrati
architetti del ‘900,
traccia su un foglio.
Eppure da lì
prendono magicamente
vita le sue creature,
crescono in altezza
e in volumi e quando
sono finite assomigliano
sorprendentemente
a quell’iniziale
scarabocchio dove
c’era già
tutto in potenza.
Potenza della tecnica,
del progresso, della
scienza dei materiali.
Ora davvero sembra
che tutto sia possibile
e che l’unica
limitazione per l’artista
sia la sua fantasia.
Del resto cos’è
il Guggenheim di Bilbao
se non un gigantesco
e meraviglioso scarabocchio,
un enorme “ghirigoro”
tridimensionale, emblema
di quella corrente
“decostruttivista”
di cui Gehry è
padre e massimo alfiere
(si dia un'occhiata
alla |
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sua
casa/laboratorio)
che
sembra
sovvertire
con
la massima
libertà
concessa
tutte
le leggi
della
fisica?
Dopo
“My
architect”
su Louis
Kahn
(realizzato
da uno
dei
figli
illeggittimi
di Kahn)
ecco
un altro
documentario
su un
altro
dei
protagonisti
dell’architettura
contemporanea
firmato
stavolta
da Sidney
Pollack,
il quale
confeziona
un ritratto
intimo
e amichevole
che
si dipana
lungo
conversazioni
che
spaziano
dall'arte
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alla vita,
durante le
quali Pollack
scopre sì
Gehry ma scopre
anche un po’
se stesso.
L’architettura
c’è,
guai se non
ci fosse,
ed è
potente come
solo l’architettura
sa esserlo,
di per sé
già
splendida
scenografia
perfettamente
cinematografica,
costruita
per essere
vissuta, guardata,
ripresa. Tra
gli intervistati:
Julian Schnabel,
Ed Ruscha
e Dennis Hopper
che dentro
una casa progettata
da Gehry ci
vive. Non
manca neanche
una nota dissonante
sul lavoro
del grande
architetto
ed è
una delle
poche note
stonate del
film. Le critiche
non sono mai
mancate, al
Guggenheim
in primis.
Quelle qui
riportate,
solitarie
e isolate,
appaiono poco
convinte e
poco convincenti,
sia nei toni
che nei contenuti,
e sembrano
messe lì
più
per dovere
di forzata
obiettività
che per reale
volontà
di avere un
interlocutore
serio col
quale dar
vita ad un
dibattito
costruttivo
che ampliasse
il discorso,
magari analizzando
lo stato delle
cose (magari
spedendo due
parole su
questi progetti
faraonici
dai budget
illimitati
e sui problemi
poi di conservazione
e manutenzione),
ed evitasse
l’agiografia.
Pollack la
evita anche
così,
l’agiografia,
con un fare
discreto che
induce all’ascolto
e al desiderio
di conoscere.
Per chi sostiene
che a Bilbao
il contenitore
sia più
importante
del contenuto
risponde Schnabel,
in accappatoio
bianco e bicchiere
di whiskey
in mano: se
le opere esposte
non riescono
a competere
con l’edificio
forse la colpa
non è
dell’edificio
ma sono le
opere a non
essere all’altezza!
(recensione
di Mirko
Nottoli
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Gehry creatore
di sogni"! |
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