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“Follia”
è il titolo
giusto. Tratto dal
famoso romanzo di
Patrick McGrath, dal
quale han dovuto lavorare
più e più
mani per tirar fuori
un sceneggiatura quasi
decente e si vede,
sembra di assistere
alla gara tra chi
si è bevuto
il cervello più
in fretta. C’è
lui, Marton Csokas
(già visto
in “Aeon Flux”
e “Evilenko”),
un incrocio tra Russel
Crowe e Yves Klein
(quando è spettinato
assomiglia al primo,
quando ha la riga
di lato al secondo),
che è matto
e va bene, ha fatto
a pezzi la moglie
e adesso sverna facendo
il carpentiere all’istituto
psichiatico controllato
a vista dal senza
scrupoli Ian McKellen.
C’è lei,
Natasha Richardson
che, complice una
vita noiosa ed un
giro di valzer, si
prende a cuore il
destino di lui al
punto da concederglisi
in quatto e quattr’otto
tra le piante della
serra in disuso, con
buona pace del marito
e del |
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figlioletto
tanto
amato,
che
lì
se ne
sta
inebetito
con
gli
occhi
umidi.
E poi
c’è
il marito
che
deve
fare
la parte
del
cornuto
e mazziato,
quindi
peggio
per
lui
se gli
va tutto
male
e si
comporta
come
un babbeo.
Siamo
dalle
parti
dell’amore
inteso
con
la A
maiuscola,
inteso
come
passione
travolgente
che
si fa
ossessione
e sboccia
per
una
sorta
di illuminazione
divina
indipendentemente
da tutto
e tutti.
Un po’
co-
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me ci si può
beccare un
raffreddore
se non ci
si mette la
maglia della
salute o inciampare
per strada
se si gira
con la testa
per aria.
Insomma, bisogna
fare attenzione
perché
basta un momento
di distrazione
ed è
un attimo
che ti ritrovi
innamorata
folle di un
serial killer.
Intorno all’eroina
della storia
c’è
un gran da
fare per confezionarle
una dimensione
tragica, ma
non c’è
nulla di spontaneo,
e se è
vero che chi
è causa
del suo mal
pianga se
stesso, allora
per la poveretta
si prova soltanto
un’imbarazzante
pena per le
fugaci sveltine
compiute in
ambienti uno
più
squallido
dell’altro,
mentre coloro
che dovrebbero
essere gli
aguzzini sembrano
gli unici
dotati di
un minimo
di senno.
Poi c’è
sempre lui
che è
matto e che
è artista,
l’impersonificazione
cialtrona
dunque della
risaputa equazione
genio=sregolatezza.
Indi per cui:
occhi fuori
dalle orbite,
cappotto stazzonato,
il fuoco sacro
dell’ispirazione,
scatti d’ira
incontrollati,
mani in faccia
a chi capita,
e chi capita
il più
delle volte
è lei.
La quale è
innamorata
e questo basta
a fugare qualsiasi
dubbio di
interpretazione.
“Follia”
è il
tipico film
“triste”
che è
“triste”
non per i
contenuti
ma per la
forma, e si
vede fin dalle
ambientazioni,
dalla fotografia,
dalle facce
che sono “tristi”
già
prima di essere
tristi. Tutti
si muovono
come automi,
come se qualcuno
avesse scollegato
loro il cervello
e allora non
importa più
se ad azione
non corrisponde
reazione ma
altre azioni
tutte ugualmente
immotivate
e finte al
fine di dar
vita al “dramma”
il più
drammatico
possibile,
tra frasi
lapidarie,
manifestazioni
plateali,
atteggiamenti
affettati.
Qual è
il messaggio
di tutto ciò?
Che al cuor
non si comanda?
Che i matti
non esistono?
Che i manicomi
vanno chiusi
in quanto
luoghi di
oppressione,
sevizie, barbarie?
Ma chi ha
scritto la
sceneggiatura,
Cristicchi?
Elogio della
follia o elogio
dell’idiozia?
(recensione
di Mirko
Nottoli
)
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