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recensione flash of genius
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Siete nell'aula di un tribunale americano dei tardi anni '80, un uomo di nome Robert William Kearns (Greg Kinnear) tiene stretto tra le mani uno dei pił famosi libri di Charles Dickens "Racconto di due cittą". Avanza deciso verso il giudice, e l'imputato, un grigio ingeniere della Ford Motor Company, mostra la stessa perplessitą che si dipinge sui volti della giuria. I legali che difendono i vertici dell'azienda invece, soltanto fastidio. Comincia a leggere recitando ad alta voce le prime righe: era il tempo migliore, era il tempo peggiore, era l'etą della saggezza, era l'etą della follia. Poi comincia ad elencare deciso ogni singola parola, ogni verbo, ogni articolo, ogni nome di quella manciata chiedendo all'imputato, alla giuria e al mondo intero se quel libro fosse un
capolavoro perché lo scrittore avesse inventato dal nulla le parole presenti in esso, o perché al |
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contrario avesse usato ciò che chiunque può trovare in un vocabolaro ma innestando e ordendo le frasi in un modo tale da trasformare una manciata di lettere in un capolavoro. Una scena particolarmente suggestiva, una delle pochissime di un film che a detta dello stesso attore principale: misses the heart of this complex story. Bob Kearns, inventore dello stesso tergicristallo intermittente che oggi fa |
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mostra di sé su più di centoquarantacinque milioni di automobili, nel 1995 vinse la causa legale con il colosso automobilistico Ford e fece giustizia della sua idea rivendicandone paternità e brevetto. La storia di un moderno Davide contro Golia - suggestiva la locandina del film. Tutto questo però ad un prezzo molto alto: la fine di un matrimonio, la degenza in un ospedale psichiatrico, tredici anni della sua vita spesi a difendere la sua idea di libertà... "Flash of Genius", Universal Pictures e Spyglass Entertainment, se da una parte rispolvera la memoria di una delle più entusiasmanti cause legali mai intentate contro una multinazionale, appassionando e infondendo speranza a chi col passare dei giorni si scopre sempre più disilluso dai potenti e dalla bontà delle loro azioni - e chi ha apprezzato un film come "Insider" con Russell Crowe può certo capire - dall'altra, come si diceva, manca in parte l'obiettivo. La mano del regista e dello sceneggiatore (rispettivamete Marc Abraham e Philip Railsback) è a volte pesante, regalando sequenze particolarmente ricche di pathos hollywoodiano, e a volte leggera: così leggera da non riuscire a conferire spessore alla vera storia di un uomo che ha trasformato la sua vita nella testimonianza vivente che inseguire la giustizia, quella vera, quella del sacrificio, alla fine dà i suoi frutti. Il Bob Kearns della pellicola è un eroe lucido, finto: non vacilla, ritrova facilmente la sua strada, non è solcato da dispiaceri ed è chiaramente tormentato da un'ossessione che però non traspare, non del tutto. Una formica che a capo chino insegue la storia senza provarne la tragicità. Ciò che di brutto la vita ha deciso per lui e ciò che di meraviglioso alla fine gli ha regalato arrivano allo spettatore frammentati: si conosce l'inizio, si conosce la fine. Ma è tutto il mezzo di sofferenza e dubbio e a tratti rassegnazione che manca. Un film scorrevole, anche troppo. Di quelli che sensibilizzano ad una ricerca su wikipedia e che animano un racconto tra amici ma che non sono in grado di lasciare il segno.
(di Marco Trani)
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