FIREWALL
 

firewall - recensione

 
Tutto talmente già visto da risultare un film inutile anche per trascorrere le famigerate due ore senza pensieri. La prima notizia è che Firewall non è un film di Richard Loncraine (già regista di Riccardo III ma anche di Wimbledon). Lo è solo a livello formale, solo per gli annuari di cinema. In realtà il film è di Harrison Ford, il quale è sinonimo di garanzia nel senso che i suoi film sono tutti uguali: premuroso e mite padre di famiglia, marito devoto e stimato professionista da 10 mila dollari al mese in busta paga, costretto a trasformarsi in giustiziere non appena moglie e figli vengono minacciati da una banda di balordi qualunque. E' dai tempi di Frantic che va avanti così. Ultimamente era sparito un po' dalle scene ma se questi sono gli esiti allora meglio resti dov'è, nel suo ranch tra mandrie e cowboy. Una scorsa veloce al manuale  
 
ed ecco tutto il repertorio di espressioni note: sorriso bonario (con smorfia e bocca storta) da perfetto uomo di casa, volto terrorizzato (spettinato e con cravatta allentata) in caso di pericolo, sguardo risoluto (busto eretto e mascella serrata) quando c'è da passare al contrattacco. L'ipotetica curva descrittiva del film non si distacca di un millimetro da un canovaccio ormai buono solo per una parodia al-  
la Scary Movie. Bella casa sul lago, bella macchina, gli amici in vacanza a Manila, inviti a cena, il cane, pizza a domicilio, focolare domastico pervaso da un'allegra confusione, vite indaffarate ma senza ombra di stress, atteggiamento molto yankee fatto di battute sempre pronte, ciao cara, ti amo, ci vediamo dopo. Gli stereotipi che compongono il perfetto quadretto famigliare del sogno americano ci sono tutti. Poi l'elemento esterno irrompe a destabilizzare il rassicurante equilibrio quotidiano. Ma purtroppo non siamo in un film di Micheal Haneke, ragion per cui i criminali intenzionati a derubare la banca per la quale il nostro progetta sistemi di sicurezza informatica, armati fino ai denti, sembrano sapere tutto in realtà non sanno niente, non ci pensano un attimo a spararsi a vicenda ma si fanno scrupoli ad abbandonare il cane di Indiana Jones per strada, vantano un piano impeccabile in realtà tanto improbabile da chiedersi se sia più maldestro e macchinoso quello o la sceneggiatura del film medesimo. Da incubo il finale con la famiglia finalmente riunita che emerge dal pendio della collina, un happy-end degno del peggior film horror. In attesa di rivederlo per la quarta volta nei panni dell'archeologo che gli ha dato la fama (ma 64 anni non sono un po' troppi per la frusta e le capriole?), il nostro Harrison piazza il suo nome in primo piano sul manifesto ma ormai è palesemente surclassato dai presunti comprimari, anche a livello di appeal al botteghino (spettatori paganti in sala: due!). Meglio di lui, Virginia Madsen, già vista in Sideways, e soprattutto Paul Bettany, sulla rampa di lancio per il firmamento di Hollywood, forte della partecipazione in quel Codice da Vinci che figura tra i titoli di certo più attesi della stagione. La seconda notizia è forse questa: l'evidenza di una nuova generazione di attori che incalza mentre le vecchie star faticosamente arrancano (si pensi a Stallone e al povero Rocky che deve tornare tristemente sul ring dopo essersi ritirato già una mezza dozzina di volte), guardandosi indietro, giocando sul sicuro, giocando male.

(di Mirko Nottoli )

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