FINE PENA MAI
 

recensione fine pena mai

 
Davide Barletti e Lorenzo Conte per il loro esordio nel lungometraggio, scelgono di ispirarsi alla vita di Antonio “Tonio” Perrone. Negli anni ottanta fu esponente di spicco della cosiddetta “quarta mafia”, la Sacra Corona Unita. Condannato a cinquant’anni di carcere (il “paradiso perduto” del sottotitolo appunto, la vita e tutte le possibilità della libertà troncate da una pena detentiva, giustamente inflitta) e costretto a scontarli in totale isolamento, ha scritto il romanzo autobiografico “Vista d’interni”, pubblicato da Manni Editori. Da giovanotto bene e lontano da taluni ambienti, per cultura e aspirazioni al drastico cambiamento. Si avvicina per avidità e brama di affermazione personale, alla carriera di malavitoso, sino a diventare boss mafioso. Col plus del criminale che si bea dello status  
 
“celebrità” negativa. La sequenza degli avvenimenti è scandita dalla voce fuori campo del protagonista, il bravo Claudio Santamaria. Si parte dall’arresto per poi ripercorrere a ritroso la spericolata vita da fuorilegge, l’incontro con l’amatissima moglie (Valentina Cervi), gli amici e i fidi collaboratori, l’ascesa e la caduta. Strana commistione tra fiction e documento realistico, aiutata nella resa positiva dallo sforzo, evidente,  
di non cadere nei clichè dei gangster movies. I due registi scelgono la strada del rigore giocando in eccesso sull’effetto estetizzante della fotografia, sulla forza evocativa di alcuni passaggi dolorosi e nel tentivo di spiegare il folcklore dell’associazione a delinquere. Siamo soddisfatti del risultato.

(recensione di Daniela Losini )


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