EMBER
 
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L'idea che l'uomo sia costretto per il proprio bene a vivere a leghe di distanza dalla superficie terrestre, in città sotterranee puntellate di pallidi neon e ambrate lampadine, è stata, a partire dalle minacce atomiche della guerra fredda, una costante fonte di ispirazione. "Ember" nasce proprio così, come un libro che, agli albori degli anni '80, racconta con un occhio bambino cosa potrebbe succedere se l'epilogo della parentesi umana fosse il conflitto atomico. Cresciuta negli anni '50, la scrittrice Jeanne DuPrau restituisce le inquietudini di un'intera generazione: e se quei bunker che tutti vanno costruendo e rifornendo di provviste, un giorno dovessero ospitare una civiltà intera? Del resto 'ember' significa 'brace, tizzone', metafora riuscita e chiave di lettura del film: un'umanità in cenere che cova la scintilla vitale di un  
 
futuro migliore. Nel ritratto non c'è quindi soltanto una civiltà che scappa dalla catastrofe e che nel ventre materno del globo si rifugia. Nel buio sottosuolo espierà le sue colpe tecnologiche, toccando il punto più basso di una parabola platonica - e i fiumi di fantascienza letterari, cinematografici o addirittura videoludici insegnano - oltre il quale si potrà solo risalire: la città di Ember sta morendo, un denso buio la   recensione ember
minaccia ma qualcuno accenderà la speranza. Il film non ha pecche mortificanti, sebbene accusi la solita dipendenza da un libro che ne limita negativamente l'autonomia e sicuramente non dispiace anzi si lascia guardare. Comunque non appare come il classico film fantasy. Il cast, la fotografia o semplicemente l'ambientazione restituiscono, tramite la pellicola, la sensazione che si stia spiando davvero una civiltà con tutti i suoi ritmi, e le sue contraddizioni. Del resto la sfida più grande del regista Gil Kenan - della sceneggiatrice Caroline Thompson ("Edward Manidiforbice", "The Nightmare Before Christmas" e "La sposa Cadavere" sono solo alcuni dei suoi lavori), dello scenografo Martin Laing e del Direttore della Fotografia Xavier Perez Grobet - è stata proprio quella di dare vita a uno dei grandi protagonisti del film: la città stessa. Ember è un organismo che pulsa, di cui lo spettatore riconosce la fisionomia degli organi, regolato dalle strane leggi di una civiltà che sopravvive di stenti da più di duecento anni, in attesa che il mondo di sopra sia pronto ad accogliere nuovamente l'uomo. Il tono pacato del film sa molto di fiabesco e se non fossimo abituati a così tanta spazzatura nel genere, forse riusciremmo a coglierne genuinamente ogni aspetto. Ogni pericolo, ogni inganno o verità che Lina (Saoirse Ronan) e Doon (Harry Treadaway) dovranno affrontare non è mai così spaventosa, né così insuperabile. Tutto viene metabolizzato velocemente, con l'adattabilità dei bambini che sono. In quest'ottica le contraddizioni della stessa città di Ember vengono facilmente perdonate, e - fiabescamente parlando - punite. Ma non è un capolavoro, forse nemmeno una perla rara. Il banco di prova per la pellicola è per buona parte il pubblico più critico in assoluto: i fan del libro. E si sa che cercare elementi originali in una trasposizione cinematografica, quando non è un libero adattamento, è sempre un'impresa ardua, al di là della sapienza con la quale tale sfida tecnica è stata superata, quindi, resta forse troppo poco per stimolare un vivo entusiasmo.


(di Marco Trani)


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