DREAMER
 

dreamer recensione

 
Immaginate di volare sulle vaste foreste di alberi rossi, ad alto fusto del Kentuky, e con il vostro occhio scorgere un insieme di colori variopinti della natura, che appagano la vostra ansia e vi riempiono l’animo di felicità. Ecco, così inizia questo film. L’insieme dei colori dei paesaggi naturali del Kentuky “dipingono” i vari piani della ripresa. La musica accompagna tutto il tema visivo. Il rumore dei suoni della vita quotidiana, ormai parte integrante della sensibilità moderna, assume un valore autonomo. La voce narrante della piccola Cale (Dakota Fanning), isola il linguaggio iconico del fantastico paesaggio, con naturalezza oggettiva. Come si suol dire : “Il buongiorno si vede dal mattino”! E’ il caso di questo primo lavoro da regista di John Gatins, con una significativa carriera alle spalle come sceneggiatore. Anche di questo suo primo lavoro da  
 
regista, Gatins ha scritto la sceneggiatura. Il soggetto della storia è un fatto vero. L’ambientazione è una fattoria del Kentuky dove vivono Ben Crane (Kurt Russell), sua moglie Lily (Elisabeth Shue), la loro figlia Cale (Dakota Fanning), ed il nonno Pop Crane (Kris Kristofferson). La vita dell’intera famiglia scorre a margine del mondo delle corse dei cavalli, che fonda la sua identità sul calcolo più rigoroso, pri-  
vo di ogni forma di sensibilità quando si tratta di sopprimere un cavallo di razza ormai incidentato. Gatins, nella sua sceneggiatura, coinvolge l’intera vita della famiglia Crane nel mondo dei cavalli da corsa, per un fatto accidentale. L’infortunio di Sonador, una puledra purosangue che rischia di essere soppressa. La puledra diventa l’elemento catalizzatore di questa famiglia, che non riusciva più da tempo ad essere coesa. Sonador alla fine restituisce il favore a tutti coloro che, avendo creduto in lei, non hanno acconsentito alla sua soppressione. E rimettendosi in piedi ed in perfetta forma, riconquista la vittoria, sognata da tutti, soprattutto dal giovane fantino che la cavalca, il cui sogno diventa vera realtà. Il cast del film è straordinario. Kurt Russell (grande successo per “Poseidon”) nella sua interpretazione è incisivo e nello stesso misurato. Elisabeth Shue (nomination all’Oscar per “Leaving Las Vegas”), è come sempre calata perfettamente nel suo personaggio. Kris Kristofferson, non smentisce la sua performance da pluri-premiato attore, con più di 50 film al suo attivo. Per quanto riguarda Dakota Fanning, si fa fatica a considerarla una attrice-bambina. E’ sempre straordinaria nelle sue performance, quasi si potrebbe definirla “un’adulta con un corpo da bambina”. Nel complesso il film ha una buona scrittura narrativa che tiene dall’inizio alla fine. Tranne qualche tratto della narrazione che inciampa in momenti di staticità in dialoghi lenti. Grande merito alla fotografia. Inquadrature a campi lunghi di paesaggi mozzafiato, prospettive, angolazioni, il tutto regolato da competenza e professionalità tale da sollecitare l’attenzione percettiva dello spettatore. Anche negli interni la m.d.p. gioca inquadrature con movimenti di camera, zoom, piani sequenze, riuscendo a costruire un efficace linguaggio non verbale. Grande la scena finale. La contrapposizione in simultanea tra la pista dove i cavalli gareggiano e la platea di tifosi, nonché proprietari dei cavalli in gara, che come impazzita assiste alla corsa, è illuminante su una sconcertante verità: nella pista non sono i cavalli che gareggiano, ma le persone!


(di Rosalinda Gaudiano )

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