DOPPIA IPOTESI PER UN DELITTO
 

recensione

 
Voleva essere I Soliti Sospetti. Questa è la prima cosa che si pensa guardando “Doppia Ipotesi per un Delitto”. L’uso dei flashback per ricostruire i fatti, l’ambientazione in un distretto della polizia e la presenza di un cattivo sfuggente di cui nessuno conosce le reali fattezze, rimandano ineluttabilmente al film che ha reso celebre il nome di Kaiser Soeze. Il Kaiser Soeze di “Slow Burn” (questo il titolo originale) si chiama Danny Luden ed è il temibile capo della malavita e della banda degli Omens che nessuno ha mai visto in faccia e che nell’ombra detiene il potere sulla città. Potrebbe essere chiunque e ha in mente un piano per tendere le mani su un affare immobiliare milionario. Danny Luden come Kaiser Soeze? Qualcuno in futuro ricorderà il suo nome? Considerando che il film è uscito in America nel 2005, è possibile  
 
affermare che i posteri hanno già espresso la loro ardua sentenza e che la risposta sia un definitivo no. Wayne Beach, che qui scrive e dirige, ammette: “morivo dalla voglia di scrivere un film che io stesso avrei voluto vedere. Io amo i misteri che sono elaborati e funzionano in un certo numero di livelli”. Il problema è che a differenza de I Soliti Sospetti dove tutto fila alla perfezione, in Slow Burn i livelli non si incastrano.  
Troppa carne al fuoco, troppi misteri, troppi inutili indizi lanciati al pubblico e troppi utili indizi tenuti furbescamente nascosti. Nei primi minuti le premesse sono buone, si spera di trovarsi di fronte ad un onesto thriller poliziesco, ma alla fine ci si sente presi in giro. La trama si perde per strada e per ovviare alla noia si ricorre troppo spesso alla sensualità della bella Jolene Blalock (che interpreta Nora Timmer) per riempire i tempi morti: numerose le scene di sesso, ma tutte uguali e neanche particolarmente intriganti. E se non bastasse, Wayne Beach ci infila anche il problema razziale. Urlata, esibita, spiegata e rispiegata, la sottotrama sulla bianca che vuole a tutti costi essere nera (una specie di Michael Jackson al contrario) potrebbe anche essere interessante per un americano che vive quotidianamente questi temi, ma assolutamente fastidiosa per un italiano. Apprezzabile comunque la presenza scenica di Jolene Blalock che ha la faccia e il fisico giusto per poter dare credibilità al suo personaggio. Insopportabile invece il Ford Cole interpretato da Ray Lotta, che dopo “Quei bravi ragazzi” non ne ha più azzeccata una. Anche la performance di LL Cool J, rapper più volte prestato al cinema, è assolutamente dimenticabile. Insomma, il classico film straight-to-video che potendo vantare la presenza di attori noti è stato riesumato per rinfoltire le uscite di fine stagione.


(recensione di Sara Sagrati )


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