DOPO IL MATRIMONIO
 

dopo il matrimonio recensione

 
Di Susanne Bier si era potuto apprezzare il pluripremiato "Non desiderare la donna d'altri", e ora questo suo ultimo lavoro arriva sugli schermi dopo una fugace ma apprezzata apparizione alla Festa del cinema di Roma. "Dopo il matrimonio" nasce ancora una volta dalla collaborazione della regista con lo sceneggiatore Thomas Jensen, e si avvale di un cast di attori forse poco noti nel circuito internazionale ma di grande professionalità e bravura. Come Mads Mikkelsen, qui nel ruolo di Jacob, un aitante quarantenne dal passato burrascoso che da anni gestisce in India un orfanotrofio che ora, per mancanza di fondi, rischia di chiudere. Dalla Danimarca, suo Paese di origine, Jacob riceve da uno sconosciuto benefattore un'offerta di 4 milioni di dollari, ma per ottenerli deve recarsi in patria. Al suo arrivo entra in contatto con Jorgen (un  
 
eccezionale Rolf Lassgard), ricco industriale che ha costruito la sua fortuna da solo e onestamente, che oltre a confermargli la sua offerta lo invita al matrimonio di sua figlia. Jacob, che non ama la mondanità, non può sottrarsi all'invito e così entra in contatto con la famiglia di Jorgen. Da quel momento il suo passato torna con prepotenza a tormentare il presente e la vicenda si tinge di mistero, sapientemente  
combinato con l'introspezione dei personaggi e un lieve sapore melò. Susanne Bier imbastisce una storia dai molteplici contenuti, esistenziali e sociali. «È soprattutto un film sulla famiglia, un valore importante e da salvaguardare - dice la regista - ma va reinventata, per aiutarci a comprendere meglio il mondo moderno così frammentato». Ma i piani di lettura offrono altri interessanti spunti di riflessione, e il contrasto tra la opulenta società danese e la contraddittoria, affascinante India, povera ma depositaria di una cultura millenaria, è uno di questi. «L'India era perfetta - afferma Susanne Bier - per rappresentare il dilemma tra due poli contrapposti: è economicamente povera ma culturalmente ricca, vivace, piena di contraddizioni». C'è nel film un momento in cui un bambino indiano, molto affezionato a Jacob, alla proposta di trasferirsi con lui in Danimarca oppone il suo sereno rifiuto perché vuole restare nel suo Paese. Il messaggio affidato a questa scena è così spiegato dalla regista: «Dobbiamo rispettare l'appartenenza di ognuno ai suoi luoghi. È meglio per un bambino che si migliorino le sue condizioni di vita nel suo Paese, piuttosto che imporgli cultura e stili di vita differenti». Ci vuole coraggio a programmare l'uscita di un film come questo per le festività natalizie, quando sugli schermi d'Italia abbondano, e abbagliano, un po' le solite storie. Ma la Teodora film di Veri Razzini ci prova, destinando oltretutto i proventi derivati dagli incassi del 24 dicembre (il film approderà nelle sale il 22) all'organizzazione umanitaria Save the children Italia nell'ambito della campagna globale Riscriviamo il futuro. Sono tanti i motivi per andare a vedere questo film, ma resta primario quello di gustare poco meno di due ore di buon cinema, ben girato, con la voglia di raccontare e di impegnarsi in storie non futili. Un film che apre la mente alla riflessione sul presente non dimenticando lo spettacolo e una qualità troppo spesso lasciata in secondo piano dalla cinematografia internazionale: la buona recitazione.

(recensione di Claudio Montatori )

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