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Roba da matti. E per
fortuna, diciamo noi.
Dalla Gran Bretagna,
dopo un periodo di
apatia e qualunquismo
impreziosito dal solo
Danny Boyle, arriva
una pellicola schizzata.
Ma schizzata seriamente.
Glasgow, giorni nostri.
Un virus ribattezzato
‘Il Mietitore’
infesta la città
che viene messa in
quarantena col successivo
ripristino ed ammodernamento
del Vallo Adriano
(!). A 20 anni di
distanza l’epidemia
sembra ripresentarsi,
in pieno centro londinese.
Una squadra scelta
viene inviata laddove
sembrerebbe esserci
qualche sopravvissuto
al virus scozzese,
per trovare una cura.
Fin qui tutto bene,
trama scontata, leit
motiv trito e ritrito.
Isteria di massa e
personaggi stereotipati
sembrano, ahinoi,
il massimo a cui aspirare.
Invece no. All’interno
delle mura si nasconde
un mondo surreale,
tribù post-apocalittiche
metro- |
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politane,
look
da bikers
e bombe
molotov
sempre
in tasca,
sono
in guerra
con
una
comunità
medievale,
retta
dai
valori
della
cavalleria
che
fu.
Una
sorta
di metaforica
dicotomia
idealizzata
della
società
moderna,
divisa
in modo
intestino
e schizofrenico
tra
eccessi
edonistici
e consumistici
e valori
bigotti
ed iperconservatori.
Mentre
nel
suo
incipit
la pellicola
sembra
trovarsi
a metà
strada
tra
lo |
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splatter e
l’epico,
quando i protagonisti
varcano le
Mura gli si
para davanti
una realtà
così
improponibile
che di colpo
anche l’animo
dell’opera
si svela in
tutta la sua
sana follia.
Tra scene
di cannibalismo
ed inseguimenti
alla Ken il
Guerriero,
la protagonista,
una modella
di 50 kg che
fa ben poca
fatica a stendere
giganti in
armatura,
si sposterà,
in sequenza,
con un carrarmato,
con un treno
a vapore,
con un cavallo
ed, infine,
con una Bentley
nuova di pacca.
Doomsday è
assurdo, splatter,
grottesco,
anni ’80,
trash, hard
rock, fantasy,
action. E’
tanto, forse
troppo, in
troppo poco.
Si inserisce
in quel filone,
quasi deserto
ormai, di
opere che
non si propongono
alla massa
per sovraffollare
botteghini
ed annoiare
palati più
fini, anzi.
Parla ad un
popolo di
(pochi, ma
fedeli) appassionati,
che non mancheranno
di apprezzarlo,
ma con riserva.
Sì,
perché
Doomsday comunque
manca di quella
presenza,
fondamentale
in un progetto
del genere,
di personaggi
cult. I ‘buoni’
e i ‘cattivi’
sono caricati,
ma in modo
banale, senza
un’eccentricità
che gli unicizzi.
La nicchia
di adepti
non potrà
non accorgersene.
Si assiste,
in corso d’opera,
ad una depauperazione
del fine primo
della spedizione
per lasciarsi
coinvolgere
dalla vorticosa
e crescente
assurdità
delle situazioni.
Lo humour,
sempre meno
british, dà
un accento
cromatico
a tutta la
pellicola.
Proprio quella
cromaticità
che una fotografia
buia e una
regia alquanto
televisiva
non sono stati
in grado di
dare. Certo
Marshall non
è Rodriguez
né
tantomeno
Tarantino,
la fotografia
e il movimento
registico
di Grindhouse,
punto di riferimento
autoriale
del genere,
sono lontani
anni luce.
Ma, paradossalmente,
questa amatorialità
formale rende
alcune sequenze
ancora più
ridicole,
perciò
meglio riuscite.
Doomsday ha
poi dalla
sua il merito
di presentarci
uno scenario
apocalittico
(finalmente)
lontano dal
fiume Hudson
e dall’isola
di Manhattan.
Questa volta
il centro
metropolitano
della visivamente
sconosciuta
ai più
Glasgow e
le suggestive
Highlands
sono lo scenario
dei massacri.
Da segnalare
la presenza
dell’unico
interprete
degno di nota,
Malcom McDowell,
icona della
cultura pop
per aver incarnato
la follia
di Alex in
A Clockwork
Orange, in
un ruolo dal
minutaggio
secondario,
ma di fondamentale
rilevanza
dal punto
di vista narrativo.
Il cast è
in linea con
tutto il resto:
trash, ridicolo,
sgangherato,
divertente.
Una chicca
da non perdere
per gli appassionati
del genere,
una brutta
sorpresa da
evitare con
cura per i
meno avvezzi.
(di Tommaso
Ranchino
)
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