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recensione die
hard vivere o
morire
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John McClane è
ancora tra noi. Ne
è passato di
tempo dall’ultima
volta. Dodici anni
ma sembrano secoli.
Quanto è cambiato
il mondo nel frattempo.
Internet, la realtà
virtuale, il cyberspazio,
l’i-pod e gli
mp3. E mentre tutto
questo succedeva,
cosa faceva John McClane?
Dov’era? Cosa
pensava? Come sfangava
le giornate? Lo ritroviamo
con una figlia già
adolescente e senza
traccia visibile dell’amata
moglie. In un mondo
che nel frattempo
è progredito
alla velocità
della luce, McClane
si muove come un dinosauro,
disincantato e nostalgico
della musica che fu,
spaesato e rassegnato
ad osservare quanto
avviene intorno a
sè, inadeguato
a decifrare e interagire
con un presente che
fugge via. Perché
il mondo è
cambiato ma Mclane
no. Solo la crapa
pelata e qualche ruga
in più, ma
lo sguardo cinico,
la battuta tagliente, |
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la consapevolezza
di sé
nonostante
tutto
sono
quelli
di sempre.
E fa
bene
ad esserlo,
consapevole
di sè,
perché
anche
se gli
attacchi
terroristici
giungono
via
computer,
se i
guerriglieri
si chiamano
hacker
e invece
di impugnare
mitra
pigiano
tasti
su un
pc capaci
di mandare
in tilt
una
città
intera
dal
salotto
di casa,
lui
sa che
quando
la situazione
si farà
complicata
ci sarà
comunque
bisogno
di sporcarsi
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le mani, e
allora saranno
pallottole
che esplodono,
pugni che
volano, inseguimenti
funambolici,
sangue, sudore
e polvere
da sparo.
Nell’anno
del diseppellimento
di vecchie
glorie ormai
pluripensionate
– da
Rocky (!)
a Indiana
Jones (!!!)
a Rambo (!!!!!!
dai, non scherziamo…)
– per
Die Hard occorreva
innazittutto
un ringiovanimento
stilistico,
compito egregiamente
assolto dal
Len Wiseman,
già
regista dei
due Underworld,
che grazie
ad una cinepresa
fluida e computerizzata
in grado di
seguire in
soggettiva
le evoluzioni
più
scenografiche,
prova anche
a compiere
qualche passo
in avanti
nel linguaggio
cinematografico
inerente al
genere. Ma
dire Die Hard
significa
dire una cosa
soltanto:
Bruce Willis,
che a 52 anni
compiuti appare
in gran forma,
più
duro, più
affascinante,
più
“incartolato”
(leggi “cool”
se non si
è del
bolognese)
che mai. Se
Stallone a
rifare Rocky
e Rambo fa
ridere (vedremo
Harrison Ford
nei panni
di Indiana
Jones come
se la caverà
a correre
a gambe larghe),
Bruce Willis
con quella
faccia e quel
fisico può
fare ciò
che vuole.
Anche prendere
treni in faccia,
abbattere
elicotteri
con un idrante,
sparare auto
come missili,
sfidare a
mani nude
un caccia
bombardiere,
essere seppellito
sotto un ponte
di cemento
e riemergere
solo un po’
impolverato.
Se si fosse
tolto un po’
il piede dall’acceleratore
dell’azione
nuda e cruda,
con parossistiche
e degenerative
esagerazioni
machiste,
magari invece
di un buon
film d’azione
avrebbe potuto
saltar fuori
un buon film
e basta. Invece
non si lesina
imbarazzo
sul fronte
dell’inverosimiglianza.
Amen. Del
resto non
è verosimile
nemmeno che
Bruce Willis
sia meglio
adesso di
vent’anni
fa, eppure
è così.
Motivo per
cui gli concediamo
e gli perdoniamo
questo ed
altro. Tra
gli interpreti
di contorno,
oltre a Justin
Long a fargli
da spalla,
sorpresa delle
sorprese,
spunta anche
il nostro
Edoardo Costa
che, tatuato
e fisicato,
fa due espressioni
due sbagliandole
entrambe e
non ha nemmeno
la soddisfazione
di venire
ucciso da
Mr. Willis
in persona.
(recensione
di Mirko
Nottoli)
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hard vivere
o morire"! |
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