DEATH OF A PRESIDENT
 

death of a president recensione

 
Siamo nel 2008 e viene trasmesso un documentario di fiction televisiva che tratta uno degli eventi più terribili e disastrosi per l’America: l’assassinio del Presidente americano George W. Bush, avvenuto il 19 ottobre 2007. Il fantasioso documentario retrospettivo, apre con immagini di repertorio di una folla rabbiosa e esasperata dalla mala politica estera dell’amministrazione Bush. Il Presidente è atteso all’Hotel Sheraton di Chicago, presidiato con ogni possibile controllo dai servizi segreti e dagli uomini della sicurezza personale del Presidente. Bush fa il suo discorso, come al suo solito in modo disinvolto, non privo di battute e note patriottiche. La sua immagine è resa accattivante e piacevole, e riscuote l’approvazione unanime dei presenti. Ma in parallelo la folla dei dimostranti sfugge al controllo delle sicurezze ed esplode, fino al mo-  
 
mento cruciale dell’assassinio del Presidente Bush. Gabriel Range, regista e sceneggiatore di questo film, media un evento drammatico ed inquietante attraverso la rappresentazione artificiale e spiazzante del documentario retrospettivo, che si avvale di un montaggio ad incastro con immagini di repertorio e scene create sul set, caratterizzate da interviste a personaggi chiave, che raccontano l'evento nel  
suo svolgimento temporale e spaziale. Ci si può chiedere: in cosa il film di Range rivela quella formula artistica propria di un prodotto cinematografico? In questo caso è l’aver saputo raccontare attraverso l’evento luttuoso fantastico dell’assassinio del Presidente Bush, il malcontento delle masse verso l’amministrazione Bush, l’esasperazione dei cittadini americani per l’assurdità della guerra in Iraq, il condizionamento dell’FBI nella conduzione delle indagini per scoprire l’assassino. Il tutto rappresentato in modo distaccato ma incisivo, con immagini documentaristiche cariche di staticità, ma nello stesso tempo d’impatto commemorativo. Sostengono egregiamente l’atmosfera di tragedia nazionale le riprese aeree di un’architettura urbana incasellata, sulle note lugubri e minacciose della colonna sonora. Il film-documentario racconta una tragedia, ma esplora ambiti politici e sociali molto più profondi, uno di questi è scovare in fretta il colpevole, magari con il volto di un terrorista islamico, l’altro è l’affermare la tesi della positività degli interventi armati statunitensi nei paesi dello scacchiere medio-orientale. Grange, già con “The Day Britain Stopped” ha mediato lo stesso tipo di messaggio affondando “lo sguardo” sulle pericolose scorrettezze della politica inglese nella gestione dei trasporti. Forse il film pecca di una narrazione un po’ prolissa, ma ciò non gli ha impedito di riscuotere il Premio Internazionale della Critica al Festival del Cinema a Toronto, che ha dato a Grange il giusto merito di aver ancora una volta osato volare alto, e questa volta lo ha fatto molto, molto in alto.


(recensione di Rosalinda Gaudiano )


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