COVER-BOY
 

recensione cover-boy

 
“Cover Boy” è il secondo film (ma sarebbe più opportuno parlare di esordio, visto che il primo, “Come mi vuoi”, non è mai stato distribuito) di Amoroso, che punta in alto. I temi sono quelli spinosi dell’immigrazione (romena), dell’omosessualità, del peso della storia (e della memoria). Ma Amoroso sceglie un rigore formale (girando in uno splendido HDV) e concettuale vicino alle immagini taglienti e mai strascicate di un Garrone (“Terra di mezzo” ne è naturale termine di paragone). Così la parabola di Ioan è soprattutto un viaggio in un Italia intossicata nella fratellanza (il personaggio, riuscitissimo, della Littizzetto), respingente nel colore dei sogni (coma racconta il breve sconfinamento di Ioan nel “bel mondo” milanese). L’unico amico che resta a Ioan è un disadattato romano, precario, sconfitto, velleitariamente (ma delicata-  
 
mente) innamorato di lui. La loro resistenza ai colpi della vita è permeata da una resa che si sa inevitabile, ma che è anche ciò che li lascia, ancora per poco, appesi ai colori della vita. Ioan e Michele che tornano bambini nell’acqua salata nell’alba di Ostia. Ioan e Michele che si rannicchiano nel loro sogno di aprire un bar sul delta del Danubio. Ma la vita (crudamente italiana) li scivola via. Li strattona, li disperde. E  
Amoroso, in “Cover Boy”, è quasi dolce nel cogliere le ombre che appesantiscono gli occhi, i sorrisi che non si vogliono dire, i gesti, piccoli, che si prova a nascondere all’esistenza. Anche se a volte s’impianta, Amoroso, come nelle sequenze-flashback di Ioan (davvero troppo scolastiche) o come nel personaggio della fotografa milanese (davvero troppo stereotipato). Altrove invece si concede efficaci fantasticherie fumettosamente fellinianeggianti, come nella sequenza dell’inseguimento per periferiche sterpaglie dei due “borghesi” ai danni di Ioan e Michele. Fino al suggestivo finale, costruito, rifuggendo da qualsiasi scontato appiglio, come un lungo e malinconico “come se”. Come se si viaggiasse verso la Romania, come se ci si arrivasse sul delta del Danubio, come se lo si osservasse, insieme, perdersi nel Mar Nero, come se si restasse a sorridere, ancora per un momento.


(recensione di Mattia Mariotti)

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