COMPLICITA' E SOSPETTI
 

complicità e sospetti recensione

 
Indeciso tra l'affondo e la patinatura di lusso, Anthony Minghella in questo suo "Complicità e sospetti" annega la bontà delle intenzioni nella melassa, a scapito di una sceneggiatura che potrebbe regalare ottimi spunti e momenti degni di ricordo. Nella Londra multifaccia e centro del mondo, intreccia ruberie del cuore e di computer da rivendere: uno studio di architettura nel giro di poco tempo subisce alcuni furti. Il tramite è Miro un ragazzo bosniaco – “A Sarajevo è tutto complicato”, dirà la madre per abbozzare la propria condizione - sfruttato da una banda di perdigiorno organizzati per le sue abilità di saltatore. E' così che uno dei soci (Jude Law che definiremmo specializzato in ruoli da fedifrago) scoprendo il giovane a girovagare nel luogo del delitto/furto e seguendolo, ne incontra la madre, Amira (Juliette Binoche, intensa e bra-  
 
va) desiderandola sin da subito. Evasione? Forse. Immaturità? Forse. Certo è che una compagna (Robin Wright Penn) indurita da una figlia problematica e al limite dell'autismo, hanno minato il reciproco sodalizio amoroso. Alterna discontinuo momenti di intensità radicata nel reale a altri inverosimili o iperpedanti: l'apice sono il personaggio della prostituta filosofa e la ragazza delle pulizie che cita Kafka. Scelte che lasciano  
perplessi, come alcuni passaggi che peccano di eccessivi rimandi al linguaggio letterario. Nessuno comunicherebbe mai un tradimento con la frase: "Ho cercato l'amore altrove" o sosterrebbe di amare le metafore facendone una ragione di vita, senza essere preso per mentecatto. Occasione sprecata due volte ed è un peccato: la miniera prometteva pepite d'oro e invece al setaccio rimane ben poco. Forse, brandelli d’ottone.

(recensione di Daniela Losini )

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