elaborato, delude tuttavia tutte le aspettative dei suoi più convinti affezionati. Questo molto annunciato, ma solo abbozzato giallo, soffre di un’impalcatura narrativa artificiosa, carente di una sceneggiatura intensa e sincera. L’occasione di approfondire il tormento di un artista, ma anche dell’amore e delle sue oscure conseguenze, cede la fibra, miseramente, alla pressione di una recitazione manierata e sopra

le righe, di un ritmo disarmonico e senza sorprese. Riccardo Scamarcio, che pure avrebbe potuto giocare molte delle sue carte, risente di un ingabbiamento recitativo (imposto da Rubini, come da lui stesso affermato) che non gli fa nemmeno sfiorare lo struggimento reale di un artista alle prese con la materia della creazione o della sua assenza. Scamarcio resta nei suoi antichi panni, senza poter attingere ad una qualche verità interiore. Se la cava meglio la Puccini, meritevole per una certa intensità con retrogusto algido. Niente suspence, insomma, né lacrime o riflessioni postume. Tutto scivola, agonizzando, in un pallido “noir” senza emozioni, che non ha nessuna similitudine con la vita o la rappresentazione di essa.