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recensione coco avant chanel
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Come per Che Guevara ne "I diari della motocicletta" così "Coco avant Chanel" ci racconta Coco Chanel prima di Coco Chanel. Dall'orfanotrofio ai locali di quart'ordine in veste di cantante, dal lavoro di sartina alla dama di compagnia della frivola nobiltà francese fino alla conquista del mondo grazie alla creazione di cappelli. Coco Chanel non è Che Guevara. Lo si dica a scanso di equivoci. Primo perché dal ritratto che ne fa Anne Fontaine emerge un personaggio discutibile, arrivista, parassita, determinato e disposto a tutto pur di rimanere attaccato ai soldi. Ciò nonostante l'alone leggendario che l'avvolge. Secondo perché a mitizzare chicchessia bisognerebbe andarci cauti, altrimenti si finisce per chiamare artista chi confeziona camice o musicista chi mette su i dischi (o giornalista chi legge il giornale). Col risultato di giungere a |
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possedere una scala di valori completamente sballata, per cui ci si ritrova ad andare al Guggenheim e vedere una mostra di
Giorgio Armani come fosse Picasso o scambiare Monica Bellucci per un'attrice. A torto o a ragione Coco Chanel un mito lo è diventata, chiamando un profumo con un numero e dettando il gusto in fatto di moda nella Francia d'inizio secolo quale "maitre a penser" predicante la sobrietà in
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mezzo
ad un tripudio di perline e strasse, l'austerità del nero contrapposto a trionfi di meringhe vaporose color pastello, la comodità dell'abito over-size a fronte di bustini costrittori. Lei si butta addosso palandrane sformate trovate chissà dove e noi dobbiamo credere che sia elegante, chissà perché. Sull'altra sponda l'aristocrazia parigina è messa in scena come un'eterna carnevalata grottesca ma immediata nel cogliere i consigli della piccola ragazza povera vestita da maschio e andare in brodo di giuggiole per un cappello di paglia simil-contadino o per una divisa monacale anti-stupro percepita al contrario come ultra sexy. Perché quello che si immagina è molto più importante di quel che si vede, sentenzia Coco dopo aver infilato l'ultimo spillo. L'insistere didascalico sull'anticonformismo lungimirante della protagonista è probabilmente il limite più evidente di questo "Coco avant Chanel", biografia cinematografica firmata da Anna Fontaine che in quanto biografia non rifugge da tutti i difetti insiti nella stragrande maggioranza delle biografie in cui l'eccessiva cura formale della ricostruzione storica è inversamente proporzionale al grado di empatia che instaura col pubblico. E' tutto vero, o almeno così si presume che sia, pertanto qualche sbadiglio è la tassa da versare alla conoscenza. Saldi nella convinzione che mai si sentono fesserie più grosse che in occasione di una sfilata d'alta moda, restiamo in trepidante attesa dell'altra Coco Chanel interpretata da Anne Mouglalis (anche se noi per partito preso preferiamo a priori Audrey Tatou), altrettanto saldi nella convinzione, se vuoi ingenua, che ciò che fa bello un abito è chi lo indossa.
(di Mirko Nottoli)
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