CINQUE - RECENSIONE
 
locandina Cinque
Locandina "Cinque"

Cinque - recensione

 
Il pulp italiano, purtroppo, ha poca storia. E quella che c'è (leggi "Romanzo criminale" film e serie tv) basta e avanza. Se è vero che dal cinema è lecito aspettarsi inediti e azzardi, è anche vero che il cinema - quello riuscito - si nutre di scenari, tipi umani e umori sociali profondamente radicati nell'immaginario e nella memoria comuni. Ergo: trame e psicologie che ammiccano troppo all'arte d'Oltreoceano (il noir nudo e crudo batte bandiera a stelle e strisce), trasferite nella nostra Italietta meschina e arruffona, perdono di credibilità. Perciò, c'è poco da dire su "5(Cinque)" di Francesco Maria Dominedò. Questa "storia d'amore ... de sordi ... e d'amicizia", del genere pretenzioso che si dice "ispirato a fatti realmente accaduti", è un tentativo congiunto e malfatto di emulare una tradizione cinematografica (perlopiù  
 
straniera) e di mitizzare una realtà sociale e culturale: i sobborghi romani filtrati dai racconti popolari e da quel pò di cronaca nera che lampeggia sulla free press locale (è di questi giorni la notizia che Roma, per somma sfortuna di Dominedò&compagni, si conferma una delle capitali più tranquille del mondo). Cinque ragazzi, cinque facce bianche sporcate ad hoc, cinque storie di riformatorio che si intrecciano e   recensione Cinque
convergono verso un colpo ambizioso, che, messo a segno, fa piovere fortuna e dannazione. Ascesa e discesa sono quelle canoniche dei giovani di borgata che si credono Al Capone e si ammazzano di eccessi. Peccato che il Quarticciolo non sia Chicago. E che Matteo Branciamore sia ancora troppo fresco di amorazzi liceali in quel di Garbatella.

(recensione di Elisa Lorenzini )


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