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La prima qualità
di un film è
di porre lo spettatore
di fronte a delle
scelte. L’opera
seconda di Martha
Fiennes, dopo il discreto
Onegin (1999), ambientata
nella Londra contemporanea,
tra inquietudini alto-borghesi,
opportunità
e limiti, si compiace
invece della propria
inalienabilità
e mette un freno al
transfert. Chromophobia
è un film ripescato
dall’oblio post
festivaliero e distribuito
da Medusa in poche
sale italiane. Non
che sia un film che
possa attirare il
grande pubblico. Perché
Chromophobia è
fatto di graffi, di
abrasioni superficiali,
inevitabilmente sconfitto
da un cinema che randella
lo spettatore a colpi
di effetti speciali.
Tuttavia non si riesce
proprio a passare
oltre alle reticenze
dei dialoghi, a varcare
la realtà epidermica.
L’insoddisfazione
dello spettatore nasce |
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da
un desiderio
di concretezza
mai
appagato,
di “toccare
con
mano”
gente
autentica,
che
può
essere
compresa
senza
le parole.
Il cast
ambizioso
(Penelope
Cruz,
Ralph
Fiennes,
Ian
Holm,
Rhys
Ifans,
Kristin
Scott
Thomas)
non
lascia
spazio
alle
scelte,
all’identificazione,
all’empatia.
Gli
interpreti
sono
perlopiù
figurine
tristi,
date
in pasto
alla
superficialità
della
sceneggiatura.
E la
patina
basta
a se
stessa.
Le |
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Le malattie
mortali che
colpiscono
all’impazzata
ora l'uno
ora l'altro
pastore di
questo “presepe
macchiettistico
e penitenziale”,
come giustamente
lo battezza
il critico
Valerio Caprara
(Il Mattino),
appesantiscono
il tutto di
un estetismo
roboante e
noioso nella
sua ripetitività.
Nel borsino
critico abbiamo:
la moglie
che si dedica
allo shopping
paranoico,
lo zio gay
e forse pedofilo
che si fa
picchiare
a morte, il
nonno che
ha un figlio
illegittimo
dall'amante
(quest'ultima
è anche
perseguitata
da un ignobile
assistente
sociale),
la nonna che
si sdilinquisce
solo per i
suoi cani,
il marito
giornalista
che sacrifica
ogni principio
d'onestà
e rettitudine
per mettere
a tacere la
tangentopoli
che sporcherebbe
per sempre
la sua fedina
civile...
Il cinema
salva la vita?
A guardare
questo oceano
di depressi,
si direbbe
proprio di
no. E la faccia
serenamente
inespressiva
di un Playmobil
come Ralph
Fiennes, con
trenta film
all’attivo,
non aiuta.
(di Enrico
Trigo )
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