CHIAMATA DA UNO SCONOSCIUTO
 

- recensione -

 
Tempo d’estate, tempo di horror. Chissà perché poi. Sarà che d’estate nessuno va più al cinema, e chi ci va ci va più annoiato e distratto, per cui va tutto bene, basta che ci sia l’aria condizionata, pensando al mare, alle vacanze, a qualche isola tropicale con una corona di fiori al collo, sulla spiaggia, bevendo moijto. Per cui va bene tutto, anche questo “Chiamata da uno sconosciuto”, remake di un vecchio film del ’79 diretto da Fred Walton, che non va bene ma va bene lo stesso, tanto con tutti gli horror scadenti che ci sono ora nelle sale nessuno lo distinguerà degli altri, nessuno, con la mente altrove, se lo ricorderà per più di un secondo dopo essere uscito dal cinema, diretto da qualche parte a mangiare una fetta d’anguria in qualche chiosco, magari sui colli per chi vive a Bologna, perché l’estate in città può essere  
 
insopportabile ma anche molto bella e molto poetica, soprattutto quando scende la sera e una leggera brezza prende il posto della calura pomeridiana. E poi ci sono i mondiali, le notti magiche, l’Italia in semifinale con quei tedeschi che dovrebbero tacere e invece parlano, sempre troppo e sempre a sproposito… I mondiali del ‘70, Italia-Germania 4 a 3, i corsi e i ricorsi della storia, fosse vero! Vabbè, del film  
non abbiamo ancora parlato, ma non c’è un granché da dire. Una ragazza sola in una casa sperduta. Suona il telefono. Nessuno risponde. Poi richiama. Sospira. Poi richiama e una voce profonda la minaccia, la vuole uccidere. Che film è? Ma è Scream! No, magari! Per oltre un’ora non succede niente, un’ora in cui subiamo tutto l’armamentario di cliché noti: rumori sospetti, porte che sbattono, il gatto che fa cadere un vaso, ombre che disegnano sagome inquietanti, passi al piano di sopra, suspance, camminata guardinga per i corridoi bui, mano sulla maniglia, porta spalancata per scoprire che è solo la governante che innaffia i fiori! Così per un’ora - che sull’ora e venti di durata totale non è poco. Poi, quando qualcosa succede, è meglio non succedesse, visto che la soluzione dell’enigma (se di enigma si può parlare) è quanto di più banale si possa immaginare. Cast semisconosciuto composto da teenager bellocci tutti sufficientemente stupidi da essere credibili nei panni di teenager bellocci. Unico punto degno di nota: la casa sul lago in stile Wright, vera ed unica protagonista della pellicola, come lo fu un’altra casa, tutta vetri e superfici bianche riflettenti alla maniera di Richard Neutra, in un thriller anch’esso abbastanza mediocre di qualche anno fa, The Glass House. Dirige Simon West ma non frega niente a nessuno; tanto è estate, martedì gioca l’Italia e tra un mese si va tutti in vacanza.


(di Mirko Nottoli )

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