CHE - L'ARGENTINO
 
locandina che l'argentino

recensione Che l'argentino

 
Il primo piano in bianco e nero del Che, all'anagrafe Ernesto Guevara de la Serna, è una delle foto più duplicate del novecento. Riprodotta su magliette, poster, spillette, adesivi e quant'altro, è diventata un'icona, un simbolo, un mito. Ma perché questo giovane uomo dal volto bello e serio è diventato un'icona? Il Che, nato da una famiglia della media borghesia argentina, è stato da subito una personalità di spicco e fuori dal comune: perseguitato da attacchi d'asma fin dall'età di due anni, non rinunciò mai ad avere un'adolescenza normale e praticò per anni il rugby, partecipò a tornei di scacchi, appassionato di poesia e letteratura, scrisse vari saggi, diari e poesie, una volta laureatosi in Medicina preferì fare esperienza in un lebbrosario piuttosto che svolgere il normale praticantato. Era quindi una persona colta e con una  
 
buona professione tra le mani, ma alla tranquillità di una vita borghese preferì imbracciare un fucile e lottare per un ideale, per un'utopia di libertà e uguaglianza tra i popoli. Abbracciò infatti la causa cubana perché la vedeva come un tassello di un disegno più grande, un messaggio universale di lotta contro le ingiustizie, punto di partenza per l'unificazione di tutta l'America Latina. Era una figura tormentata, una sorta di eroe tragico,   recensione che l'argentino

romantico e affascinante. Le sue azioni erano guidate da una forte coscienza morale, da un idealismo puro che lo portò a farsi da parte quando fu chiamato ad amministrare il potere, posizione che era forse in contrasto con i suoi ideali assoluti estranei al compromesso politico. Non c'è da stupirsi dunque che un uomo così speciale abbia ispirato migliaia di giovani in tutto il mondo. Potenzialmente quindi la biografia del Che, per la sua stessa eccezionale natura, è materiale adatto a produrre un capolavoro cinematografico. Purtroppo però Soderbergh non ha capito cosa simboleggia e quanto è importante e complessa la figura del Che: il regista americano si è messo in testa di costruire un'opera definitiva sul combattente argentino, e per far questo ha pensato di girare non uno ma ben due film e di dargli una confezione a metà tra il documentario e il film d'azione. Fin qui nulla di male, anzi, l'espediente di raccontare il periodo della lotta cubana inframmezzandolo con l'intervista che il Che realizzò nel 1964 per la CBS in occasione del suo discorso alle Nazioni Unite è anche buono, ma a mancare è il vero spirito del Che. Per quanto Benico Del Toro sia un bravo attore e abbia cercato il più possibile di avvicinarsi all'iconografia del Che, non traspare nemmeno in un fotogramma l'emozione, il fervore che si prova anche solo leggendo una piccola frase del combattente argentino. Così la perfezione formale e stilistica di Soderbergh, la fotografia ricercata e il gusto per il particolare si riduce a una somma di insignificanti aneddoti da biografia commerciale, privi di fascino e sentimento, freddi e vuoti. Nel film di Soderbergh il Che sembra un combattente qualsiasi, un uomo come un altro, che ha deciso di darsi alla lotta armata per un vago e imprecisato ideale. In questa pellicola, eccessivamente e inutilmente lunga, che racconta gli anni dei combattimenti nella Sierra Maestra fino alla presa di Santa Clara, il Che rimane niente di più che una foto stampata su una maglietta. Un marchio di fabbrica glamour fatto per vendere gadget. Non c'è niente dell'uomo che ha detto frasi come: " Dobbiamo lavorare per il nostro perfezionamento interno quasi come un'ossessione, come una pulsione costante; ogni giorno analizzare onestamente ciò che abbiamo fatto, correggere i nostri errori e tornare a incominciare il giorno appresso ".


(di Valentina Ariete)


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