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recensione che guerriglia
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Conquistata Cuba, il rivoluzionario argentino Ernesto Guevara de la Serna si sposta in Bolivia, ad esportare la rivoluzione e addestrare giovani futuri guerriglieri. Finché durante un rastrellamento delle truppe governative, viene prima ferito, poi arresato ed infine fucilato. Bastano poche righe per riassumere l'azione del secondo episodio della saga dedicata da Steven Soderbergh alla figura del rivoluzionario argentino, interpretato da un Del Toro che al Festival di Cannes 2008, dove il lavoro è stato presentato, ha vinto il premio per la Miglior interpretazione maschile. Già, perché di azione in questa seconda pellicola (altrettanto lunga della prima, 132 minuti) non si può davvero parlare. Gran parte della pellicola si svolge all'ombra degli alberi boliviani. Guevara dà lezioni di rivoluzione a giovani reclute. Cerca di convincere i |
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contadini a sostenere la rivoluzione e respingere le
tesi del filosovietico Mario Monje che invece chiede di scegliere: o si sta con il Partito comunista o con Che Guevara. Traditi da una famiglia contadina, il Che e la sua piccola truppa vengono prima attaccati a La Higuera e alla Quebrada del Yuro, poi accerchiati. Il Che viene catturato e ucciso. Queste scene finali riescono a rompere solo in parte la
monotonia narrativa |
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e fotografica che domina gran parte del film. Per circa un'ora e mezza dominano i problemi quotidiani dei guerriglieri (i contatti, le coperture degli infiltrati, i bombardamenti, i rifornimenti di cibo e medicinali), dipinti (come se non fossero già sufficientemente noiosi, o, meglio, noiosamente raccontati) da una tavolozza monocolore dove prevale incontrastato il verde delle divise militari e delle foglie degli alberi. Solo nelle ultime scene, quando la colonna di Guevara esce dalla foresta e attraversa i villaggi boliviani si vede qualche colore diverso: il rosso della terra, il bianco degli intonaci scrostati delle case. Non c'è altro. Fin troppo asettico perfino il racconto della fucilazione del Che. Alle prese con una figura del calibro di Guevara, si corre il rischio dell'eccessivo trasporto emotivo che trasformerebbe un film in uno spot elettorale (e il regista di Atlanta si è sempre dichiarato «attratto da Guevara come soggetto di un film»). Il film di Soderbergh però non incappa davvero in questo pericolo, si sforza al contrario di non proporre un Guevara "santino", ma vien da chiedersi se valga la pena barattare con la fedeltà storica il carisma di un personaggio che i "Diari della motocicletta" di Walter Salles (con Gael Garcìa Bernal nella parte del Che) erano invece riusciti a cogliere con esiti di autentica poesia. Per quanto le ricerche documentarie necessarie alla elaborazione del film, abbiano richiesto un lavoro decennale - nel corso del quale gli attori hanno potuto interrogare i rivoluzionari sopravvissuti per imitarne scrupolosamente perfino il modo di imbracciare le armi - "Che Guerriglia" rimane due volte lontano dalla verità: lontano dalla verità estetica dell'opera d'arte e inevitabilmente lontano anche dall'acribia di un servizio giornalistico (pur ispirandosi al "Diario in Bolivia" di Ernesto Guevara). Belli e convincenti solo i commenti musicali eseguiti dalla chitarra classica e curati da Alberto Iglesias (nomination all'Oscar 2008 per la colonna sonora de "Il cacciatore di Aquiloni"). Peccato che in oltre due ore di film se ne contino appena 3 o 4 e non durino più di 15 secondi ciascuno.
(di Daniele Piccini)
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