CASINO ROYALE
 
 

 

 

di Amedeo Scalese (**)

    Ventunesimo episodio per la fortunata saga di James Bond ed esordio per Daniel Craig, la cui candidatura ad ereditare il ruolo che fu di Sean Connery ha lasciato perplessa parte della critica. In cabina di regia Martin Campbell, già autore di 007 Goldeneye, pellicola che vide un altro esordio: quello di Pierce Brosnan. Appena ottenuti gradi e relativa licenza di uccidere, il novello agente 007 è alle prese con Le Chiffre, il sinistro banchiere delle organizzazioni terroristiche di tutto il mondo. James Bond tenterà di fermarlo partecipando ad una partita di poker al Casino Royale. Che questo sarà uno 007 degno dei fasti del passato e quindi contrapposto agli ultimi, scialbi capitoli, si capisce sin dall’ascolto di “You know my name” lo splendido pezzo interpretato da Chris Cornell che accompagna i titoli del film proposti in pieno “old style”. Diciamo
 
 
 





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  subito che Daniel Craig (già visto nell’ottimo Munich) fa una buona figura: il suo è un Bond ironico e tagliente, un personaggio in piena evoluzione come la trama, che narra dei primi passi di 007, vuole. Il Bond alle prime armi commette errori grossolani, mette nei guai il suo Paese con scelte sconsiderate e sfiora in maniera clamorosa il fallimento della missione che gli è stata assegnata, ma ha il merito di non perdersi d’animo e di crescere nel corso della storia, sviluppando quelli che saranno i tratti caratteristici degli 007 a venire. Molto interessante la scelta della Bond-Girl di turno: Vesper Lynd (una fascinosa Eva Green) anche lei distante dalle sue colleghe viste in precedenza. Abbiamo a che fare con una comprimaria arguta ed intelligente, che, lungi dal cascare ai suoi piedi, darà del vero filo da torcere all’agente segreto più famoso del mondo. La trama, tratta dal primo romanzo di Ian Fleming, si dipana in maniera piuttosto scorrevole pur non mancando di sorprendere lo spettatore. Tutto il film ruota attorno ai 150 milioni di dollari in palio alla partita di poker (variante Texas hold’em) organizzata da Le Chiffre al Casino Royale in Montenegro, alla quale si arriva dopo una lunga fase preparatoria nel classico stile della saga. In effetti di partite di poker ne abbiamo viste di più coinvolgenti e nel prosieguo la storia va scemando d’interesse, a causa dell’eccessiva lunghezza della pellicola (quasi due ore e mezza) ma anche della sproporzionata rilevanza che viene data alla storia d’amore in cui Bond s’imbarca. Campbell se la cava senza infamia e senza lode, limitandosi all’ordinario, mentre se mi è permesso un po’ di campanilismo, citerei la buona prova del nostro Giancarlo Giannini (ma anche di Claudio Santamaria), nel complesso di un film dove non sono certo gli attori a sfigurare. In definitiva, un episodio che rompe col recente passato, avvicinandosi agli “007” che ricordiamo con più nostalgia, pur non sfiorando la maestosità dei titoli migliori. Se questo è il primo passo verso un Bond rinnovato, la direzione è quella giusta.




























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