CARS
 

cars recensione

 
John Lasseter, a cui si devono strepitosi successi come “Toy Story”, “Alla ricerca di Nemo” e “Gli Incredibili”, ora che la Pixar è stata comprata dalla Disney, ha compiuto il miracolo di rimettere in piedi la sua dissestata divisione cartoon che non riusciva più a ritrovare lo splendore di un tempo e iniziava a perdere colpi nei confronti delle sue avversarie storiche, la Fox e la Dreamworks (nei primi tre giorni di proiezioni “Cars” ha incassato 63 milioni di dollari, scalzando dalla vetta del box office il capitolo conclusivo della saga “X-Men”): stranamente “Variety”, la Bibbia dello spettacolo made in USA, lo ha stroncato affermando, tra l‘altro, “Nonostante rappresenti un altro impressionante traguardo sul piano tecnico è il film visivamente meno interessante tra quelli realizzati con la computer animation”. Sarà…ma è indub-  
 
bio che ci troviamo di fronte a una stupefacente nuova dimostrazione delle tecniche di animazione 3D… ed è impressionante l’abilità nel ricreare fedelmente i materiali e la struttura delle auto e dall’altro di umanizzarle. Ma nessun computer potrà mai salvare una brutta storia. Qui abbiamo invece emozioni, humor, sensazioni in abbondanza in un intreccio, appassionante e coinvolgente, che vedrà il protagonista  
comprendere quali sono i veri valori della vita. Forse la durata è eccessiva (quasi 100 minuti) ma il notevole ritmo, la continua azione, le situazioni spesso esilaranti, i colori smaglianti, il buonismo non retorico, i personaggi accattivanti come non mai (come non innamorarsi della Cinquecento gialla col mito della Ferrari?), la lieve romantica love-story, rendono godibilissima questa produzione che i “grandi” forse apprezzeranno più dei “piccoli”. “Cars”, con il suo creare un parallelismo tra l'evoluzione della piccola automobile come pilota e come uomo, amalgama con mirabile equilibrio le duplici esigenze (educative e di intrattenimento) di ogni buon cartoon: esteticamente perfetto, ci fa riflettere sulla differenza tra “viaggio” e spostamento” e costituisce un omaggio non solo al culto dell’amicizia ma soprattutto (similmente all’ultimo capolavoro di Robert Altman) a un’America che non c’è più, a un modo di vivere ormai scomparso, a un passato più umano e meno frettoloso.


(di Leo Pellegrini )

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