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Per comprendere la
clamorosa assenza
di qualsivoglia forma
di originalità
e personalità
è sufficiente
osservare la locandina
di Cardiofitness (non
è necessario
vedere il film). I
faccioni dei due (bellocci)
protagonisti in alto,
poi la scritta del
titolo (in blu) e
sotto sempre i protagonisti,
ma questa volta a
figura intera, in
atteggiamento intimo-divertente.
Esattamente uguale
alla locandina di
Notte prima degli
esami, primo e secondo
episodio. Come esattamente
uguale all’illustre
predecessore è
anche la dolorosa
superficialità
dei dialoghi, la trama
risibile (lui ama
lei, lei ama lui,
tira e molla per un’ora
e mezza, lieto fine),
l’inconsistenza
scipita e fastidiosamente
romanesca (con i vari
“penzo”,
“rimorzo”,..)
degli attor(ucol)i.
Solo dispiace leggere
nel cast anche il
nome di Colangeli,
costretto qui in un
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gigioneggiante
quanto
improbabile:
un allenatore
di baseball
di origini
cubane
(!!).
Ma forse
proprio
la presenza
di Colangeli
finisce
per
diventare
il simbolo
del
dramma
che
attanaglia
il cinema
italiano,
che
da una
parte
si inorgoglisce
(per
i buoni
incassi
al botteghino),
e dall’altra
lentamente
muore,
avendo
rinunciato
a qualsiasi
forma
di ricerca
e impegno
(vedere
alla
voce
“esclusi
da Cannes”).
Il problema
infatti
è
che
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questi film
non sono giustificabili
(come non
è giustificata
la partecipazione
produttiva
di casa Rai)
nemmeno come
prodotti adolescenziali,
di semplice
intrattenimento-evasione.
Film di questo
genere mortificano
lo spettatore
(anche quello
acinefilo
di sedici
anni), e il
cinema (italiano).
Che cerca,
ormai sempre
meno e tra
sforzi immani,
di essere
anche altro,
di raccontare
storie, innanzitutto
(e personaggi,
non macchiette
televisive),
di lavorare
su immagini
innovative,
sincere, coinvolgenti
(come L’aria
salata o Il
dono testimoniano).
Il tutto senza
mai nessun
tipo di appoggio,
con la Rai
e lo Stato
(ma il Ministero
dei Beni e
delle Attività
Culturali
che ci sta
a fare?) a
sperperare
soldi e risorse
con una sciatteria
davvero uniche.
Stando così
le cose forse
Cardiofitness
ce lo meritiamo.
È doloroso,
ma ce lo meritiamo.
(recensione
di Mattia
Mariotti
)
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