BURN AFTER READING
 
locandina burn after reading

recensione burn after reading

 
La perfezione stilistica a volte non è sufficiente a monopolizzare l'attenzione dello spettatore, se alla fine il risultato, impeccabile come e forse più del solito, non riesce a evitare una sensazione di preconfezionato, di approssimazione, in definitiva di calcolo. E non tanto perchè "burn after reading" è un film per le masse, data la presenza di due divi come Clooney e Pitt, ma per la proverbiale freddezza che simili operazioni (pensiamo al già delizioso "Mr. Hula Hoop") lasciano alla fine della proiezione. Eppure tutto funziona a meraviglia: un puzzle dove lo spirito caustico dei fratelli-registi c'è tutto (magari manipolato dalla complessiva vena farsesca che prevale sulla cattiveria iniziale) e che va catturato gradatamente, al fine di scoprirne sfumature che forse una sola visione non riesce a dare. Diciamo allora che  
 
questa è l'ennesima black-comedy (niente a che vedere con l'indimenticabile "Fargo" però), e racconta le esistenze parallele di alcuni personaggi più o meno gonfiati come iconografie minori del post-11 Settembre, prototipi di un'America spaventata e "spìata" che ancora prevale durante la crisi economica di questi ultimi anni. Un'ex-agente della Cia ingiustamente (?) licenziato (un formidabile, luciferino Malkovich)   recensione burn after reading
ricattato da un istruttore di palestra un pò idiota (Pitt) e dalla sua manager ossessionata dalla chirurgia plastica (Frances McDormand), e uno sceriffo federale sessuomane e fobico (Clooney). Il Culto del corpo e le insicurezze sul futuro, l'ossessione di una sicurezza (straord)inaria anche nel campo delle relazione tra superpotenze, persone che si odiano e fingono di amarsi o viceversa. Più che una satira sulla Cia, sui servizi segreti americani messi alla berlina dopo (appunto) l'11 Settembre 2001, il film riesce, spesso splendidamente, a mettere alla berlina tutti i luoghi comuni delle spy-stories (si veda la battuta sui russi come "nemici anacronistici", alla luce dei recenti fatti non si direbbe ndr), attraverso questi personaggi in fuga da se stessi, perennemente afflitti dalle proprie paure (difetti fisici o incolumità psicofisica), come Osbourne Cox in particolare. Davanti a una tv che celebra il trash e palestre, i "cuori solitari" si intrecciano al sogno americano come modesta traiettoria per cambiare immagine, corpo, identità. "L'importante è mantenere sempre un atteggiamento positivo" ricorda spesso il film. Ma, a parte Malkovich e la McDormand (una Marsha Mason che sembra uscita, appunto, da un film di Altman) la sensazione di una buona occasione sprecata permane. Anche davanti a un paio di sequenze da antologia (come le passeggiate della McDormand nei parchi alla ricerca di single, o gli incontri dell'ispettore della Cia col suo assistente) e un finale poco meno che formidabile.



(di Luca D'Antiga )


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