BUBBLE
 

bubble - recensione

 
Martha e Kyle sono amici e lavorano nella stessa fabbrica. L’arrivo di Rose turba una routine fatta di noia e malinconia. La società americana secondo Soderbergh. Ecco a voi il ritratto del male. A dispetto di tutte le sue dichiarazioni alla stampa (“farò un film a basso costo e zero star”, “uscirà contemporaneamente su schermo, in tv e in Dvd”), l’abile regista di Traffic realizza un film completamente agli antipodi rispetto alle intenzioni: "Bubble" è un film chiusissimo, che nega ogni idea di speranza, lontano da umori vitali e da ogni idea di leggerezza. Un verso dal chiasmo imperfetto. Per questo è un’operazione interessante e riuscita. Negli Usa è stato boicottato dagli esercenti. Noi non riserviamogli la stessa fine. Per la prima volta, in un film di soli 73 minuti, la composizione dell’inquadratura, il montaggio, la foto-  
 
grafia sono di un livello artistico talmente elevato da far impallidire il critico più vigile e con l’occhio più allenato. I personaggi racchiudono e trasmettono un coacervo di sensazioni stipate in corpi privi di seduzione, oltre che non noti e trasparenti. La zitella operaia dalla voce stridula, sfortunata, invidiosa ma anche cortese e gentile, è il tipo di cui tutti si approfittano, un volume d’energia privo di espressioni codificate,  
compresso all’interno di una catena di montaggio e destinato, presto, a deflagrare. La tensione cresce e implode quando la nuova arrivata, insensibile, flirta col giovane protagonista e propone alla donna di fare da babysitter. Un momento di puro cinema. Impressionante. Senza che nessuno alzi la voce, senza che si sollevi un sopracciglio si assiste ad una vera e propria imitazione della realtà. Lo stile del documentario fatto di macchina a mano, senza i sollazzi delle tre ore di Dogville, luci sommarie, interni da cinema verità rendono ottimamente l’idea di quanto il mondo del lavoro sia infernale. Bubble è un piccolo gioiello. Sa ricordarci, dopotutto, che non siamo semplici automi. E che il lavoro non è spersonalizzante quanto invece, a volte, lo sono i sentimenti.

(di Bruno Trigo )

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