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born into brothels
recensione
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Dimentichiamoci la
Calcutta formato cartolina,
quella dai sapori
gay tipicamente Bollywood,
perfetto esempio catalizzatore
di kitch di stampo
russelliano e dalla
soundtrack di matrice
tecno new age. Dimentichiamoci
Madonna e le foto
di LaChapelle, quelle
delle finte divinità
ampiamente desacralizzate
dalla loro aurea di
barocco metrosessuale
d’antan, dimentichiamoci
anche i pistolotti
proto e para letterari,
tanto amati dai puristi
del gender e dai fan
della poetessa dello
sterco misto al mestruo,
Sudata Bahat. Dimentichiamo
tutta la paccottiglia
visiva che abbiamo
dell’India ed
immergiamoci a capofitto,
in un viaggio scottante
e magnetico, quello
di Born in to Brothels.
Il documentario diretto
a quattromani da Zana
Briski e Rossa Kaufman
è un raro esempio
di esemplare pugno
nello stomaco. Raccontare
di bambini non è |
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facile,
ma raccontare
la vita
dei
figli
delle
prostitute
di Calcutta
è
quasi
impossibile,
ma i
due
riescono
a creare
un documento
spiazzante
e accorato,
come
solo
le vere
opere
d’arte
sanno
fare.
Nella
Calcutta
odierna,
l’occhio
dei
registi,
ci mostra
la vita
che
conducono
i figli
delle
prostitute,
poveri
esseri
innocenti
nati
nei
bordelli
–
borthels,
che
vengono
legati
e costretti
ad una
vita
di privazioni,
fin
dalla
loro
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venuta al
mondo. Un
tema del genere,
sebbene questo
sia un documentario,
potrebbe riservare
degli scivoloni,
nella melassa
e nello scivolone
di genere,
ma tutto ciò
non avviene
grazie allo
splendido
uso della
fotografia.
Secca, algida,
distaccata
e brulla,
graffiata
in maniera
inusuale,
la fotografia
del documentario
è fondamentale
perché
ci da la linea
base delle
direttive
stilistico
narrative.
Vincitore
del premio
Oscar per
il miglior
documentario,
Born in to
Brothels è
uno dei casi
della stagione,
da vedere,
amare e meditare.
(di Gabriele
Marcello
)
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recensione del
film "Born
into Brothels"! |
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