BORDERTOWN
 

bordertown recensione

 
“Bordertown” evidenzia una concreta questione gravissima grazie anche all’impegno civile della Lopez che gode dell’appoggio di Amnesty International: porre l’accento su fatti delittuosi è sempre cosa giusta. Sul versante critico che ci spetta, è impossibile invece non rilevare l’occasione mancata. Dopo una prima mezz’ora assimilabile al classico filone delle denuncia, la trama si piega ai voleri della star trainante col favore del regista Gregory Nava, asservito alla superstar più che al cuore della vicenda. Una giornalista americana di origini latine fa ritorno nei luoghi natìì per investigare sulle oscure morti di Juarez. Città al confine tra il Messico e gli Stati Uniti (dove si assembla quasi tutto l’assemblabile), lavorano migliaia di donne e ragazze malpagate nelle “maquiladores”. Schiavizzate dal profitto e dal quieto vivere commerciale tra i  
 
due stati, diventano riserva pressochè infinita per killer, delinquenti e banditi che attingono alla “risorsa” impuniti. La polizia locale li favorisce con indagini superficiali e i proprietari delle fabbriche se ne disinteressano. Tutti volti all’insabbiamento, al silenzio e alla mancata protezione delle lavoratrici. La donna ritroverà l’ex amore (uno scolorito Antonio Banderas), incontrerà una ragazza sfuggita a più mani assas-  
sine, si scontrerà con ricchi filantropi collusi, poliziotti e politici corrotti, amministratori delegati senza morale. Il tutto vestendo l’abito firmato della paladina. Nel finale sciorina una inutile e retorica filippica pro-verità, quando il direttore (Martin Sheen) decide di non pubblicare il pezzo rovente. Deve valere come esempio negativo di ciò che non si deve mai fare: trasfigurare un dramma tangibile in una finta soap opera. Riprovevole.

(recensione di Daniela Losini )

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