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“Borderland”
appartiene ad un nuovo
filone del cinema
horror, che ha i suoi
capisaldi nei vari
“Saw”
e “Hostel”
e che punta sulla
presunta esplicitazione
della violenza per
richiamare orde di
ragazzini in cerca
di emozioni sempre
più forti.
In questo caso, Zev
Berman si rifà
ad un fatto realmente
accaduto, la scomparsa
del ventunenne texano
Mark Kilroy, il quale
venne rapito e ucciso
da una setta che praticava
sacrifici umani e
il cui leader era
Adolfo de Jesus Constanzo
(“il padrino
di Matamoros”).
Partendo da questo
spunto, il regista
realizza un film che
ha in comune con i
suoi illustri predecessori
tutti i cliché
enumerabili: il solito
gruppo di studenti
in cerca di eccessi
che finisce nei guai,
torture e momenti
di sadismo spiattellati
in faccia allo spettatore
e il tentativo di
fornire una sorta
di giustificazione
sociale (e forse morale)
alla materia narrata.
Il |
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tutto
condito
da un
elemento
che
era
invece
assente
nei
precursori
(anche
se non
memorabili):
la noia.
“Borderland”
è
infatti
il classico
prodotto
frutto
della
moda
del
momento,
costruito
su una
sceneggiatura
alquanto
rabberciata
e fondato
quasi
esclusivamente
sulla
supposta
carica
eversiva
delle
scene
gore
(per
la verità
neanche
così
tanto
truculente).
La vicenda
è
ambientata
al |
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confine tra
Stati Uniti
e Messico
e la frontiera
rappresenta
una sorta
di divisione
tra civiltà
e wilderness.
Separazione
che si palesa
nella raffigurazione
dei villains,
ispirati chiaramente
al ben più
terrificante
nucleo famigliare
del cult “Le
colline hanno
gli occhi”,
ritratti come
macchiette
intorno ad
una figura
poco credibile
di santone,
convinto che
la violenza
sia il veicolo
per comunicare
con gli spiriti.
Tra questi
spicca il
personaggio
di Randall,
interpretato
dal redivivo
Sean Astin,
reduce dal
successo de
“Il
signore degli
anelli”.
Dopo un discreto
inizio (con
la presentazione
“ufficiale”
della setta),
il film inciampa
però
quasi subito,
vittima di
un ritmo incessante
ma frastornante
e di una storia
poco coinvolgente
e, a tratti,
irritante.
I protagonisti
sono, come
troppo spesso
accade nel
genere, più
odiosi che
simpatici
e, ben presto,
si finisce
col parteggiare
per la setta
piuttosto
che sperare
nella salvezza
dei “buoni”.
La tensione
si avverte
soltanto nei
minuti iniziali
e man mano
lascia spazio
al tedio e
al disinteresse
per l’esito
finale della
vicenda. Un
film insomma
del tutto
trascurabile,
ennesimo esempio
della situazione
deficitaria
(da un punto
di vista qualitativo)
dell’horror
dei giorni
nostri. Un’opera
che potrebbe
dissuadere
anche il più
accanito fan
di questo
filone, che
tenta, non
riuscendoci,
di riproporre
l’ondata
rivoluzionaria
degli anni
’70
e ’80
(segnata da
capolavori
quali “Non
aprite quella
porta”,
“Zombi”,
“Halloween”…,
ben lontani
da questi
filmini da
adolescenti).
(di Sergio
Grega )
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