BLACK BOOK
 

black book recensione

 
Riecco il regista Paul Verhoeven che può contare nel carnet discontinue incursioni a Hollywood: dal fantascientifico pastrocchio “Starship Troopers”, al very, very kitch “Showgirls” sino al merito di averci donato l’unico reazionario sopportabile, l’indimenticato “Robocop” per non dire di “Basic Istinct”. Questa volta rientra nella natia Olanda, ambientandovi la vicenda di una ex cantante ebrea vissuta ai tempi del nazismo. Qualche anno dopo la liberazione rieccola (l’attrice che la impersona è Carice Van Houten, bella e brava ma è l’unica vera nota positiva della pellicola) finalmente quieta in un kibbutz israeliano. Incontra un’amica che la riporta con la memoria a quel terribile periodo. Flashback 1944: comincia l’epopea di sopravvivenza tra fughe, resistenza, ufficiali sanguinari o con l’animo buono, intrighi e tradimenti.  
 
Svolgimento piatto e patinato con più di un riferimento a “Il Portiere di Notte” seppure in versione spericolata e in più cadenzata da tocchi naif sprezzanti del ridicolo. Ritmi, pathos, tempi televisivi e mestiere a buon mercato. E seppur umanamente condivisibili, i fatti resi in celluloide, non aggiungono nulla alla cinematografia/storiografia del genere. Dimenticabile. (recensione di Daniela Losini)  



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