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Favola inconsueta
questa "Big City",
scritta e diretta
dal bravo Djamel Bensalah.
Favola sia perché
“raccontata”
da un vecchio, che
poi si scoprirà
essere uno dei bambini
della storia, alla
sua nipotina come
fosse la fiaba della
buonanotte, sia perché
ha un risvolto morale
tipico delle fiabe
. Molto originale
la scelta di affidare
le redini del film
solo a bambini, anche
se circoscrive un
po’ il target
di potenziale pubblico,
che si ritrovano di
colpo proiettati con
responsabilità
più grandi
di loro. E Bensalah
riesce con efficacia
a mostrare i vari
stadi delle reazioni
di questi bambini
alla scoperta di essere
rimasti soli : si
passa dall’euforia
iniziale (con la bellissima
immagine di Big City
sommersa da bolle
di sapone), in cui
ragazzini di massimo
13 anni si ubriacano
per la città,
alla presa di coscienza
che bisogna organizzare
la vita cittadina,
fino alla |
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consapevolezza
della
difficoltà
di certe
scelte
e alla
conseguente
voglia
di tornare
bambini.
Ci sono
molti
temi
che
vengono
affrontati
dal
regista
scovabili
nel
substrato
filmico
ad un’attenta
lettura.
Si parla
di razzismo,
tolleranza,
persino
inquinamento.
Il tutto
attraverso
gli
occhi
di bambini
che
neanche
sanno
cosa
consapevolmente,
dai
genitori.
Travestirsi
da Ku-Klux-Klan,
rubare
i gatti
e |
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gettarli al
fiume, è
per loro quasi
un gioco e
non si rendono
conto della
gravità
e delle conseguenza
che queste
azioni possono
provocare.
Il maggior
pregio del
regista, anche
sceneggiatore
del film,
è quello
comunque di
essere riuscito
a delineare
in modo completo
vari personaggi.
Se è
vero che il
protagonista
può
essere considerato
il giovane
cowboy Wayne,
è altrettanto
vero che anche
molti altri
bambini sono
descritti
in modo accurato:
come fosse
un film corale
alla Altman,
in cui c’è
un turbinio
continuo di
situazioni
e personaggi,
anche qui
si può
dire che la
vera protagonista
del film è
proprio questa
Big City,
piccola cittadina
del Far West
al cui interno
si accavallano
le storie
degli abitanti.
E sono storie
“da
grandi”:
ci si innamora,
c’è
la gelosia,
la guerra,
la cattiveria,
la truffa,
il lucro.
La scelta
di una regia
poco invadente
è subordinata
alle esigenze
filmiche che
tendono a
far primeggiare
la psicologia
dei personaggi
più
che l’azione
vera e propria.
Anche per
questo è
un western
atipico in
cui invece
le grandi
inquadrature
del West con
i suoi spazi
immensi la
facevano da
padrone. Un
film comunque
godibile,
abbastanza
originale
ma senza pretese,
in cui anche
la nitidezza
e chiarezza
della fotografia
e dei colori
contribuiscono
a dare un
senso di irrealtà
e di finzione
alla storia.
(di Mauro
Missimi
)
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recensione del
film "big
city"! |
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