BASTARDI SENZA GLORIA
 
locandina bastardi senza gloria

recensione bastardi senza gloria

 
"C'era una volta nella Francia occupata dai nazisti..." così, citando Sergio Leone, inizia la favola di Quentin Tarantino, sesta opera del cineasta re del pulp che ancora una volta ci sorprende e ci strabilia, in un crescendo di evoluzione estetica e di sintesi dei generi cinematografici. Diviso in cinque capitoli, che si contraddistinguono per musiche, atmosfere e stili differenti, il film si snoda su due storie parallele e dipendenti che vanno a culminare nel finale. La prima è quella di Shossanna Dreyfus (Mélanie Laurent), ebrea sopravvissuta miracolosamente durante lo sterminio della sua famiglia per mano del colonnello delle SS Hans Landa (Christoph Waltz), che si rifugia a Parigi dove sotto false spoglie prende la gestione di una sala cinematografica. La seconda è quella dei "bastardi" del titolo, un gruppo di soldati ebrei, messo  
 
insieme dal tenente americano Aldo Raine (Brad Pitt), divenuti in poco tempo il terrore dei nazisti, la cui missione è quella di uccidere quanti più soldati tedeschi possibile e nella maniera più brutale, ovvero prendendo loro lo scalpo. Quando la missione dei bastardi si spingerà fino all'eliminazione degli alti leader del Terzo Reich, il gruppo si troverà nei pressi del cinema parigino, dove Shosanna sta tramando la sua vendetta   recensione bastardi senza gloria

personale. Tarantino non vuole riscrivere la storia, ma creare dei personaggi che secondo le leggi dell'universo parallelo da lui ideato risultino credibili; da qui una delle scelte più geniali: quante volte abbiamo visto film di guerra in cui i soldati tedeschi parlano un perfetto inglese (da noi italiano) o al massimo storpiano il loro accento per farlo somigliare al tedesco? in questo film ogni personaggio parla la sua lingua d'origine, in un gioco linguistico che diventa struttura portante della storia stessa (si consiglia infatti la visione in lingua originale). In parte grazie a questo espediente ci ritroviamo di fronte ad uno dei personaggi più affascinanti della cinematografia tarantiniana, il colonnello Hans Landa, riuscito perfettamente grazie alla strabiliante interpretazione di Christoph Waltz (interpretazione che gli è valsa la Palma d'oro quale migliore attore al Festival di Cannes 2009), genio linguistico che ci regala nuovi momenti di dialogo ironico e delirante, ai quali il regista ci ha abituati. Saranno proprio i dialoghi a reggere la trama, lunghissimi, forse per alcuni anche troppo, ma pregni di significato che, allontanandoci dalla violenza e dall'azione che ci si potrebbe aspettare, hanno la capacità di trasformarsi nel vero motore degli eventi, in una continua costruzione e demolizione della tensione, in grado di tenere lo spettatore incollato allo schermo. Ottime le interpretazioni e la scelta dei protagonisti che, come per la scelta linguistica, appartengono al paese d'origine del proprio personaggio (imperdibili l'accento texano di Brad Pitt e il cameo di Mike Myers nel ruolo del colonnello inglese Ed Fenech). Le musiche, tra omaggi e riferimenti alla filmografia di genere, accompagnano perfettamente ogni capitolo, grazie soprattutto al gusto impeccabile che da sempre contraddistingue il cineasta, in grado di ripescare brani che sembrano scritti appositamente per i suoi personaggi, fino a trasformarsi, come nel caso della splendida Cat People di David Bowie, in veri e propri monologhi interiori. Più che mai in questo film, il Cinema è il vero protagonista: dalla pellicola alla sala cinematografica, dagli attori ai critici, dall'arte alla propaganda, usando il cinema come genesi di un mondo che non può esistere se non soltanto sul grande schermo. Ciò che più colpisce infatti è proprio l'amore per la settima arte e l'entusiasmo quasi bambinesco di chi ama il proprio lavoro prima di tutto come spettatore e poi come regista, capace, con ironia e intelligenza, di regalare al film una vena romantica che andrà ad esplodere nel pirotecnico finale. C'era una volta il cinema, verrebbe da dire, un certo tipo di cinema, che Tarantino è stato in grado di esaltare e plasmare a sua immagine, creando un genere tutto suo, sempre originale, nonostante sia pregno di citazioni e riferimenti, sempre riconoscibile fin dalle prime inquadrature, ma nonostante questo sempre sorprendente e visivamente stimolante. Penso che questo sia il mio capolavoro , con questa battuta il regista sceglie di chiudere, forse indirettamente, il suo ultimo lavoro... e non è detto che si sbagli.


(di Rosa Agusta)


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