BABYLON A.D.
 
locandina babylon a.d.

recensione babylon a.d.

 
Mathieu Kassovitz, conosciuto principalmente come il regista di “Gothica” (2003) e “I fiumi di porpora” (2000), si ispira adesso per il suo ultimo film al romanzo futurista di fantascienza di Maurice Dantes “Babylon Babies”, modificandone il titolo in “Babylon A.D.” nell’aspirazione – dichiara lo stesso Kassovitz – di creare un «logo eccezionale: BAD». Un obiettivo al quale sarebbe stato meglio non mirare (se non almeno in modo così diretto) dal momento che il pubblico in sala ci appare alquanto basito durante la proiezione dell’anteprima del film. Vogliamo tentare di ricercare le cause di questa cattiva accoglienza in un’analisi formale piuttosto elementare? Partiamo allora dal fatto che Babylon A.D., in cui è palesemente esplicito il riferimento a Babilonia, la città del peccato, è un mix non soltanto di diversi generi, ma anche  
 
di diversi stili facilmente rintracciabili all’interno della sua struttura: lo scopo – in qualche modo ottenuto – di Kassovitz, era proprio puntare a ricreare quell’atmosfera che i film d’azione avevano negli anni ’80, prima dell’era della grafica computerizzata. Realizza così una sorta di emulazione dello splendido Blade Runner (1982) di Ridley Scott, un’atmosfera ben rievocata per gran parte del primo tempo (la scena della lotta   recensione babylon a.d.
nella gabbia è forse la più riuscita delle sequenze iniziali), ma supportata da una trama non priva di punti oscuri ed eccessivamente incentrata su un rapporto di “protezione-feeling” tra i due personaggi principali, che ci è sembrato ricalcare palesemente quello tra gli indimenticabili protagonisti di “Leon” (Luc Besson, 1994) Natalie Portman e Jean Reno, senza eguagliarlo in delicatezza e originalità. La sinossi si snoda, infatti, proprio attraverso l’evoluzione del legame tra Toorop (un Vin Diesel nel ruolo che avremmo visto magistralmente reso da Bruce Willis), un mercenario sopravvissuto alle guerre che devastano il mondo dal 21° secolo, e la giovane dai “poteri straordinari”, Aurora (che solo l’angelica Mélanie Thierry poteva rappresentare perfettamente), nel loro viaggio che parte da un monastero di Noliti in Mangolia e che si conclude nel cuore di Manhattan. La mafia che controlla l’Europa dell’Est, rappresentata sorprendentemente da un ridicolo Gérard Depardieu truccatissimo e privato del suo accento francese, affida a Toorop questi’incarico ad altissimo rischio in cambio della possibilità di rientrare negli Stati Uniti che lo avevano bandito, perché (come il mago di Oz insegna) « nessun luogo è come casa». Mai uscita dal monastero in cui è nata 18 anni prima, Aurora contiene in se’ la conoscenza universale e ha sviluppato capacità paranormali e preveggenza in seguito a cause non meglio identificate: ecco la necessità di inserire qui un terzo elemento del gruppo, la sua strabiliante tutrice suor Rebecca (Michelle Yeoh), che la sostiene e la difende dalle “persone” che la cercano costantemente, come l’Alta Sacerdotessa splendidamente resa dall’espressione degli occhi di Charotte Rampling, e da coloro che hanno ottimi motivi per cui Aurora non sopravviva…


(di Ilaria Abate )


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