AZUR E ASMAR
 

azur e asmar recensione

 
Dopo averci deliziato con i semplici ed efficaci "Kirikù e la strega Karabà", l’ enfant prodige del cinema di animazione francese, Michel Ocelot, ritorna nelle sale con un piccolo e fantasioso gioiellino: "Azur e Asmar". Azur è figlio di un nobile gelido, Asmar, di una balia; entrambi vengono cresciuti come fratelli, e a loro viene raccontata la leggenda della fata dei Jinns, che attende, da una prigione nascosta, il giovane che la libererà. Ma un giorno il padre di Azur lo manda lontano da casa per studiare e scaccia dalla sua dimora francese la nutrice e il piccolo Asmar. Solo una volta adulto, Azur si imbarcherà in direzione dell'Oriente per ritrovare i suoi cari e liberare la fata dei Jinns. Naturalmente i riferimenti letterali sono molteplici, non solo le fiabe classiche di Perrault e di Grimm, ma anche la letteratura per l’infanzia, come  
 
Malot, di cui si estrapola il difficile concetto e studio sulla psicologia adolescenziale. Non una storia di principini, ma di ragazzi che divengono adulti e si confrontano con il mondo. I cattivi non sono altro che lo specchio di recondite paure di noi grandi, quelle che abbiamo maturato nell’infanzia e che non riusciamo ad annientare. In questa delicata e corretta intelaiatura psicologica emerge anche una pre-  
gnante e solida struttura filmica, molto vicina ai classici Disney anni 40 e 50, che non ai computerizzati e stereotipati prodotti moderni. Con un occhio alla pittura del settecento, quella fiamminga ed impressionista, e l’altro, a quelle deliziose miniature del secolo scorso, il regista dimostra un gusto estetico fuori dai canoni normali. Oriente e Occidente si incontrano e si scontrano in una perfetta simbiosi, ed è giustissimo lasciare alcune parti in lingua Araba, senza traduzione e sottotitoli, dal momento chè e lì racchiusa tutta la magia. Non importa se il ritmo non sia frenetico come quello di una Playstation, che non ci sia sangue che schizza come in un arcade di ultima generazione, l’importante è scoprire o meglio riscoprire il fiabesco che c’è ancora in ognuno di noi. Il soffio e la giustificazione che, per fortuna, ci fanno ancora credere alle favole. Oltretutto il messaggio di tolleranza viene sviscerato con una grazia ed una delicatezza talmente sopraffine da sembrare impossibile, molto di più dei classici pistolotti, borghesissimi, che spesso ripeschiamo dalla sempre più sopravvalutata cinematografia Asiatica.

(di Gabriele Marcello )

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