AS YOU LIKE IT
 

as you like it recensione

 
Kenneth Branagh torna due volte. Torna al cinema e torna al suo caro vecchio Shakespeare. La domanda è: se ne sentiva la mancanza? La risposta potrebbe essere: dipende. Di questo Branagh non molto. Magari di quello de “Nel bel mezzo di un gelido inverno” anche anche. In definitiva Kenneth Branagh non ci fa impazzire. Non ci fa impazzire nemmeno Shakespeare a volerla dire tutta, diciamo che lo stimiamo, ma avendocelo ormai propinato in tutte le salse, c’ha stufato (ecco, l’ho detto). C’è chi l’ha attualizzato, chi l’ha modernizzato, chi l’ha remixato, chi l’ha pop-izzato (parola coniata or ora). Branagh no. Per Branagh, Shakespeare, deve essere come un tempio, un qualcosa di inviolabile e sacro. Motivo per cui lo segue, scudiero fedele e felice. Non lo insegue. Se lo inseguisse sarebbe me-  
 
glio. Almeno ci sarebbe una qualche tensione (vedi Pacino nel suo “Riccardo III”). Lui non ne ha bisogno, la fede non ha bisogno di domande. Incrollabile nella sua serena adorazione, lo mette in scena così com’è, convinto che Shakespeare basti a Shakespeare. L’unica cosa che fa è spostare l’azione in Giappone, senza che tra l’altro se ne capisca bene il motivo, più per vezzo autoriale che per reale esigenza d'interpretazio-  
ne. Il resto è inevitabilmente tutto molto “teatrale”, termine che qui assume connotazione negativa perché il cinema non è teatro e se il cinema è immagine in movimento qui l’immagine rimane abbastanza statica. Ci pensa il bardo a ravvivare un po’ la situazione, con dialoghi frizzanti, scambi di battute al fulmicotone, una varietà ricchissima di personaggi per l’occasione ottimamente interpretati (su tutti il buffone di Alfred Molina). Quando non si sbadiglia, insomma, si sorride in questo “As you like it”, commedia bucolica-sentimentale, con scambi di persona incorporati, sulla follia dell’amore e sui vantaggi del vivere “secondo natura” contrapposti alla civilizzazione e alla vuota sete di potere. Le tematiche potranno sembrare datate, così come il linguaggio in versi dell’Inghilterra seicentesa, ciò nonostante Shakespeare alla sceneggiatura regge bene, nonostante gli anni (non, dell’attualità di Shakespeare, per favore, no!). Branagh alla regia lascia fare. Peso specifico notevole se lo assumono scenografo e operatore che danno vita ad una foresta di Arden fotografata e colorata magnificamente, tra verdi, rossi e gialli che occhieggiano brillanti, magici e irreali. In palla l’intero cast (si sa, quando c’è Shakespeare di mezzo gli attori si sentono particolarmente responsabilizzati): di Alfred Molina abbiamo già detto, Bryce Dallas Howard sempre più in auge, Kevin Kline con cappello e barba è identico a DeGregori.

(di Mirko Nottoli )

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