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Jack Huard costruisce
navi da guerra ma
vorrebbe entrare in
marina. Vorrebbe entrarci
perché è
un fallito, perché
non ha mai concluso
niente, perché
suo padre non crede
in lui, perché
la madre è
morta con quel sogno,
per dimostrare a se
stesso di potercela
fare. Le accademie
militari sembrano
non servire ad altro.
Il cinema ce lo insegna.
Va da sé che
una volta entrato,
il temibile sergente
ovviamente nero, che
sputa improperi in
faccia alla recluta
di turno, si accanisca
contro di lui per
cacciarlo fuori, non
per un motivo in particolare
(in fondo il nostro
Jack è un bravo
ragazzo, solo un po’
duro di comprendonio)
ma semplicemente perché
così vuole
il film. Ma il nostro
eroe imparerà
la latitudine di Annapolis
a memoria e saprà
vendere cara la pelle.
Rigida disciplina,
addestramento durissimo,
pioggia e fango, signorsissi- |
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gnore
urlato
a squarciagola,
dei
luoghi
comuni
sedimentati
e fossilizzati
dalla
cultura
cinematografica,
da “Ufficiale
e gentiluomo”
in avanti
(senza
dimenticare
–
per
carità
–
“Full
Metal
Jacket”),
“Annapolis”
non
se ne
fa mancare
neanche
uno.
Non
si fa
mancare
nemmeno
tipizzazioni
cialtroniche
tagliate
con
la scure,
vedi
il tirapiedi
del
capo
che
finirà
punito,
il capoclasse
secchione
che
finirà
convertito,
il |
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ciccione di
colore soprannominato
“palla
di lardo”
(ma và?)
che finirà
come già
sappiamo,
anch’egli
costretto
a “dovercela
fare”
per non deludere
il padre,
la madre,
il nonno,
la cittadina
tutta. Purtroppo
James Franco,
con una faccia
che sembra
essere stata
presa, accartocciata,
e gettata
nel cestino,
non è
Richard Gere
e, a volerla
dire tutta,
nemmeno Tyrese
Gibson è
Louis Gossett
jr. Il film
di Taylor
Hackford è
lì,
in una nicchia
votiva davanti
cui genuflettersi
tra un ciak
e l’altro.
Solo nel finale,
quando il
riscatto del
nostro si
manifesta
nell’annuale
torneo di
boxe riservato
agli allievi,
allora Zack
Mayo incontra
Rocky Balboa
deviando così
verso il noto
filone pugilistico.
Sul ring Justin
Lin (che rivedremo
dietro la
macchina da
presa del
nuovo capitolo
di “The
fast and the
furious”)
dà
il meglio
di sé.
Fuori un po’
meno: gronda
retorica,
scopiazza,
dà
voce alle
trombe dell’enfasi
sottolineate
da musiche
solenni e
gran rullare
di tamburi.
Terrificante
tutta la sequenza
del pre-incontro,
con il nostro
che, ripreso
in campo lungo,
solo nello
spogliatoio
male illuminato,
tira ganci
in accappatoio
tra ralenty
e avanzamenti
veloci, mentre
la colonna
sonora fa
saltare le
casse dell’impianto
acustico in
un crescendo
urticante.
Uscito più
che in sordina,
non c’è
nessun motivo
per andare
a vedere “Annapolis”.
Ma se proprio
dovete…
(di Mirko
Nottoli
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