ANCHE LIBERO VA BENE
 

anche libero va bene - recensione

 
Nel disfacimento di una famiglia, quando la coppia finisce, gli effetti si fanno sentire pesantemente sui figli, in maniera esponenziale quanto più è bassa l’età. Ma a volte essi sviluppano precoce saggezza, capacità di mediazione e sanno indicare vie d’uscita. E’ il caso del giovane protagonista, serioso, timido e poco espansivo; egli sente vicinanza col compagno di banco che ha perso la parola dopo un brutto shock, e appena può si rifugia sul tetto del palazzo dove abita, tra equilibrismi e tiri di fionda sui vicini. La madre lo è divenuta molto presto e di due bambini, femmina e maschio uno dietro l’altro; emotivamente fragile, inquieta e inaffidabile (“lei va e viene” dice il figlio, che non si fida del suo ennesimo ritorno). Il papà ha cresciuto da solo la prole, e carica di aspettative soprattutto lui; irascibile, ruvido,  
 
testardo, probabilmente proprio per questo atteggiamento si è reso difficile il lavoro e la vita privata. Positivo debutto alla regia dell’attore Kim Rossi Stuart (lanciato dal ruolo interpretato in “cuore cattivo”, si è dedicato anche al teatro – soprattutto Shakespeare – e alla televisione sotto la direzione di firme note del cinema). Seguito dalle musiche composte, orchestrate e dirette dalla Banda Osiris, Rossi Stuart - pure  
co-sceneggiatore - è convincente in dinamiche familiari e psicologia dell’infanzia. Presentando genitori nelle proprie debolezze e nel loro modo monco, distratto e contraddittorio di esprimere amore, sovverte la consueta concezione del rapporto adulti-bambini. Che così diventa molto più equilibrato. Anzi, la comprensione responsabile appare appannaggio soprattutto dei secondi, come sintetizza la scena cruciale del padre (per alcuni versi molto “morettiano”) che finalmente accetta la scelta del figlio di iscriversi ad una scuola calcio, dove lo vedrebbe bene nel ruolo di libero. E il ragazzo pazientemente risponde: “anche libero va bene”.

(di Federico Raponi )

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