AMERICAN DREAMZ
 

american dreamz recensione

 
I sogni americani in questione includono la casa Bianca, l’amore, ma principalmente i reality show televisivi ed i loro deliranti meccanismi di frenesia partecipativa e idolatria che coinvolgono sia le aspiranti celebrità che gli spettatori. E di riflesso, pure i militanti di un campo di addestramento di Al-Queida intenzionati ad un’azione suicida esemplare sulla ribalta della più popolare trasmissione satellitare statunitense, nella puntata nella quale è prevista la partecipazione del primo cittadino dell’impero del Male. Tutti sono guidati da una determinazione ove il fallimento non è previsto (l’attrice e cantante Mandy Moore interpreta Sally Kendoo, cognome che per assonanza sembra “can do”, cioè “può fare”). Appena rieletto per il secondo mandato (non in quanto “scelto dal Signore”, ma per merito di “amici molto importanti”), il  
 
Presidente USA è ignorante, idiota, con un debole per l’alcol, “radiocomandato” dal segretario di Stato attraverso un auricolare e spinto ad assumere pillole per la felicità perché in odor di esaurimento. Tuttavia la sua personificazione bonaria dà il segno di un film cinico, con efficaci affondi, stemperato nella farsa. Se poi per evitare l’eccessiva indulgenza qualcuno deve finire male, significativamente  
può essere una pedina subito rimpiazzabile come un amorale conduttore o uno stupido soldato reduce dall’Iraq. Scrive, produce e dirige Paul Weitz (nomination per la miglior sceneggiatura non originale con “About a boy”). Figlio d’arte, laureato in cinema, autore di pieces teatrali, Paul ha anche fondato insieme al fratello Chris la società di produzione “depth of field”, e dall’esordio di “American pie”, ossia dall’innocuo divertimento fine a se stesso, sta via via affinando un’attitudine critica - passando per il compromissorio “In good company” - permettendosi punzecchiature socio-politiche leggere (nella forma), divertite e in libertà.

(di Federico Raponi )

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