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Alza la testa, in concorso alla 4° edizione della Festa del Film di Roma, si concede allo spettatore senza veli e artefici, mostrandosi sin dalle sue prime inquadrature come film diretto e verace. La pellicola narra infatti una storia di periferia, fondata sull'emarginazione sociale, e parte in modo semplice e chiaro, disegnando due psicologie, quella del padre e del figlio, credibili e singolari allo stesso tempo, perché tangibilmente reali e insieme modellate dalle coincidenze, dalle circostanze di una vita ai margini. Una fotografia fredda, assecondata dalla camera mobile, rappresenta uno scenario scomodo, disagevole per il corpo e per la mente. Il tema del riscatto e del rapporto con il diverso si sviluppano con coerenza ed equilibrio, e la tematica della lotta che fa da sfondo al film appare una scelta convincente, |
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proprio perché il desiderio di una rivalsa può essere abbandonato solo tramite la cessazione delle ostilità, per via dell'accettazione totale di sè stesso e degli altri. L'incidente in moto e la comparsa di Ivan, un nuovo diverso, sono li a coinvolgerti sempre di più, fino a sorprenderti. Da qui in poi, tuttavia, il giocattolo si rompe. La sceneggiatura prende una direzione un po' tortuosa, diventando ridondante e poco
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verosimile, per via di forzature narrative che lasciano perplessi. Un vero peccato perché lo sviluppo inziale degli intrecci, unito all'efficacia interpretativa dei protagonisti (Castellitto ci appare in una nuova versione "papà di Caterina") e una regia coerente a uno stile inquieto e realistico , avevano promesso decisamente qualcosa in più; si ha quindi la netta sensazione di un'occasione persa. In ogni caso è da non trascurare la forza maggiore del film: quella di essere riuscito ad incuriosire fino in fondo, nonostante il finale, nonostante tutto.
(di Lucio De Candia)
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