ALLA SCOPERTA DI CHARLIE
 

recensione alla scoperta di charlie

 
L’esordio di Mike Cahill è uno dei più suggestivi esempi di mimetismo cinematografico. “Alla scoperta di Charlie” è un camuffamento, un tentativo, sensibile e accorto, di dissimulazione. Dietro la confezione e i sorrisi quasi da commedia per famiglia (media) americana si nasconde, infatti, un secco e malinconico sguardo sull’America che si sta strappando, morbosamente aggrappata al suo “sogno”. Sogno fattosi stanco, inappagante spesso, anonimo sempre: sogno magro, ormai, sogno disarticolato. Quello di Charlie e della figlia solitaria Miranda (con la loro surreale caccia al tesoro) è un tentativo, fantasioso e tenero, di resistenza. All’America dei centri commerciali, dei magazzini-città (non a caso il luogo ultimo del tesoro è un enorme centro “fai da te”), delle pisci-  
 
nette montate in giardino, dei recinti appena tinteggiati, delle lavastoviglie computerizzate, dei meccanicistici fast-food, dei prati all’inglese da incollare su terre troppo aride. L’America che resta è un paese gonfio e respingente, che prova a coccolare con luci troppo abbaglianti e balocchi troppo vuoti. In fondo non si esiste, anche se ce lo si dimentica. Ed è questa, l’ossessione di Charlie: «Io non so se esisto»  
confida alla figlia. C’è bisogno, nell’America che resta, di cercarne (disperatamente) le prove. “Alla scoperta di Charlie” non è quindi un divertissement, non è un giochino da digerire, felicemente, insieme ai pop-corn al burro. Se lo si osserva con attenzione vi si intravede, come controluce, tutte le miserie del contemporaneo, tutte le solitudini («Siamo ancora in mezzo al nulla. È solo che ora c’è molta più gente» ci sussurra Miranda). Certo non tutto è impeccabile, non tutto all’altezza. Douglas ha i denti troppo smaglianti per essere pienamente credibile nella parte del “pazzo” poeticamente disadattato. Ma è anche vero che il suo sguardo riesce a disperdersi, a tratti, in modo quasi lunare (e il suo svanire nelle fogne della città è sequenza bizzarramente toccante). E il finale è un fruscio d’ali (per la delicatezza) e un canto d’addio (per la malinconia). La visione di Charlie sui cinesi nudi si avvera, un altro pezzo di America si strappa via.


(recensione di Mattia Mariotti )


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