AI CONFINI DEL PARADISO
 

recensione ai confini del paradiso

 
Dopo la prova del viscerale e convincente “La Sposa Turca”, Fatih Akin alza il tiro e allestisce una vicenda corale a tutto tondo. Ambizione, capacità e talento narrativo elargiti in due ore di affilato ma empatico cinema delle coincidenze e dei legami smarriti/ricomposti. Girato tra Amburgo, Brema e Istambul in un continuo tallonare aerei e treni, partenze e arrivi, appuntamenti e mancanze, morti e cambiamenti snocciola la ragnatela di connessioni tra un gruppo di persone apparentemente svincolate le une dalle altre. Un anziano vedovo burbero e amabile vive col figlio, professore delicato e timido. Decide di averne abbastanza della solitudine e propone a una prostituta di origini turche di fargli compagnia. Poi sarà la volta dell’eterea studentessa tedesca che s’imbatte nella passione incarnata da una terrorista.  
 
Scappata dopo una retata e rifugiata in Germania dalla vicina Turchia in cerca della madre, scoprirà un surrogato di famiglia. Finirà in prigione iniziando l’odissea, per chi l’attende fuori, di riuscire a liberarla. Facce e occhi di attori e attrici che comunicano col corpo e trasmettono emozioni, una rintracciata Hanna Shygulla splendida vestale oscura e algida per Fassbinder, madre/matrona addolorata per Akin.  
Divina signora sfatta nel corpo e nella disperazione della perdita. Girone umano di vite, errori, omissioni, colpe e rendenzioni. Qualche strascico di compiacimento e un sospetto di manierismo aleggiano in taluni passaggi ma l’asciuttezza, la forza delle immagini e degli incastri riescono a superare ogni resistenza. Commovente, strutturato e suggestivo.

(recensione di Daniela Losini )

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