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Ha voluto indagare
una delle principali
storture della società
in cui viviamo Francesca
Comencini, con il
contributo del giornalista
autore d’inchieste
Gianni Barbacetto:
la circolazione illecita
di denaro nell’ambito
dell’alta finanza
(e perciò di
rendita, astratto
dalla produzione)
che provoca accumulo
di potere, abissali
disuguaglianze, abusi.
Ovvio quindi ambientare
la vicenda a Milano,
sede italiana della
Borsa e degli affari.
Un banchiere, un insider
trading, un prestanome,
Guardia di Finanza,
intercettazioni, una
talpa istituzionale
(“se un magistrato
li informa hanno vinto”),
coperture legali (“hai
un buon avvocato?
In Italia sono necessari”),
un politico coinvolto
che in comizio parla
di sicurezza e ronde.
Con un corollario
di ricatti, cocaina
e amanti. Dietro una
facciata che è
sfoggio di ricchezza
elevato a valore (“l’eleganza
è fonda- |
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mentale”),
una
realtà
mercificata,
di prostituzione
diffusa
capillarmente
fino
a quel
potente
strumento
di controllo
che
è
la televisione
d’intrattenimento,
fatta
di pornografia
dei
sentimenti.
Vige
una
guerra
di tutti
contro
tutti
della
quale
a pagare
il prezzo
maggiore
è
la donna,
nel
corso
della
Storia
già
culturalmente
sottomessa.
In tal
senso
è
potente
l’immagine
in parallelo
di una
prostituta
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in ginocchio
davanti ad
un uomo per
un rapporto
orale e la
stessa, nella
medesima posizione,
davanti ad
un prete per
ricevere la
comunione.
In una sottomissione
introiettata
che depriva
anche della
solidarietà
femminile
(la scena
della Golino
intervenuta
in un’aggressione
in strada).
La regista,
accumulando
inutilmente
altri personaggi
e avvenimenti
nell’intreccio,
non và
al fondo del
nucleo centrale.
Inoltre, il
panorama femminile
è sentimentalmente
forzato (la
prostituta
innamorata,
l’amante
fragile, la
moglie paziente)
e prioritariamente
votato alla
maternità,
quasi come
antidoto.
Aspetti questi
che affievoliscono
l’indignata
voce morale
(“i
soldi danno
alla testa”)
e la dichiarazione
di alterità
e resistenza
umana: “nonostante
la facciano
da padroni,
questo paese
è anche
casa nostra”.
(di Federico
Raponi )
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casa nostra"! |
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