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recensione 500 giorni insieme
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Pensate ad un giovane ragazzo in cerca dell'amore romantico che ha sempre desiderato. E pensate poi a quando incontra effettivamente la ragazza che gli fa perdere la trebisonda e immaginate che, inaspettatamente, i due si innamorino, si amino e si lascino. Che cosa c'è dentro quei 500 giorni? Ce lo racconta l'esordiente Mark Webb in questa commedia romantica che in inglese suona "500 days of Summer", dove Summer è il nome della ragazza, in italiano chiamata Sole, per cercare di rendere il gioco di parole. La relazione tra Tom (Joseph Gordon-Levitt) e Sole (Zoeey Deschanel) è l'archetipo delle storie d'amore metropolitane, strattonate tra aspettative inarrivabili, gioie improvvise e amare delusioni. È un racconto in flashback e flashforward che sviluppa i punti salienti del pezzo di vita insieme di un architetto mancato - che |
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si trova a lavorare per un'agenzia che crea biglietti d'auguri - e una segretaria appena arrivata a Los Angeles dal Michigan. Il tutto con un sottofondo sonoro pop-rock, che va da Wolfmother a Mumm-Ra agli Smiths. Ci sono tutti ingredienti pesati con il misurino in questo film indi americano, compresa una buona dose di risate (ma mai di ironia) e un voler prendersi poco sul serio che rende la storia meno spiace- |
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vole di quanto ci si aspetterebbe, visto l'intento dichiarato di raccontare una storia qualunque, che chiunque potrebbe vivere o aver vissuto. È la leggerezza, dunque, il pregio migliore di "500 giorni insieme", caratteristica che emerge da una regia abbastanza vivace, che propone split-screen e inserti di musical quasi sempre efficaci. Nonostante ciò, tali e tanti sono i clichè e la prevedibilità delle situazioni che difficilmente viene da consigliare un film come questo. Per fortuna l'amore è un'entità ben più profonda, illuminante e tortuosa di come viene dipinta da questo ruffiano film americano, che, a conti fatti, ripropone sempre i soliti luoghi comuni sulle pene d'amore. Ridurre a macchiettismo la poeticità dell'esistenza umana, anche se lo si fa con qualche accento di brio, non può che annoiare, se non innervosire. Troppo pop e troppo ammiccante, questo film della Fox, per convincere fino in fondo. Così dopo la proiezione viene voglia di leggere una poesia di Robert Frost, giusto per non scordarci come i sentimenti possono incontrare nell'arte la loro sublimazione... anche in America.
(di Marco Santello )
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