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Film toccante, duro, commovente. Perché "20 sigarette" racconta la storia della strage di Nassiriya, la barbara uccisione di diciannove italiani e diversi cittadini iracheni, vittime di un atroce attentato kamikaze. Un film violento, realistico, aggressivo nelle immagini, a partire dai fotogrammi delle vittime mutilate subito dopo l'esplosione e inermi al suolo e dalle sequenze in primo piano delle braccia e del corpo del protagonista, inondato di sangue e avvolto dalla sabbia e da una miriade di schegge schizzate durante la deflagrazione. Un colpo nello stomaco per noi italiani, che ci siamo sentiti coinvolti in prima persona da questa tragedia che ha comportato la perdita della vita di tanti nostri connazionali, ma non solo per noi: una ferita lancinante e terribile che ha inciso anche le memorie di tutti coloro che non si sono sentiti e |
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mai si sentiranno disposti ad accettare gli
orrori della guerra come inevitabili effetti collaterali di superiori strategie di conquiste o di quali altre astruse ragioni di carattere bellico, economico, geopolitico, ecc.
L'opera di Aureliano Amadei porta in scena la sua storia personale di sopravvissuto a quella strage, avvenuta a Nassiriya il 12 novembre 2003. La sua storia è quella di un giovane ragazzo di idee anarchiche e |
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antimilitariste che decide di accompagnare l'amico e regista Stefano Rolla in Iraq per aiutarlo a girare un documentario sul conflitto nell'ex territorio governato da Saddam Hussein. "State tranquilli," - gli dicono - "gli italiani sono in quelle martoriate terre solo per portare aiuto alle popolazioni civili, la loro è soltanto una missione di pace." Ma già ai primi contatti con le calde terre orientali, Aureliano sente lo sparo delle mitragliatrici quando il camioncino di militari attraversa il centro abitato vicino alla postazione degli italiani. Forse non si tratta solo di operazioni umanitarie in Iraq, probabilmente le pallottole volano veramente per l'aria e la guerra non è una realtà così lontana come i racconti giunti in Italia vogliono far credere. Il film vuole essere un resoconto vero e sincero, appassionato e commovente, di chi era lì per davvero in quel momento: un giovane aiuto-regista a seguito dell'amico, le amicizie con alcuni militari, le due chiacchiere e le battute scambiate con i carabinieri sul cortile della loro caserma. e poi improvvisamente appare un autocarro rosso che sfonda la sbarra dell'ingresso della recinzione e in un secondo tutto salta in aria, dando vita ad un inferno di fuoco. Sangue, spari, uomini che non rispondono più al richiamo, fumo, polvere, lacrime e urla, disperazione e irrealtà: irrealtà o meglio ancora non-realtà, perché solo questi sono i termini per descrivere la condizione umana in quei momenti, negli attimi degli scontri, nella visione dei pezzi di carne sparsi in giro, di esseri umani che in un secondo spariscono dalla faccia della terra, all'interno di un incubo che perde tutti i connotati della aderenza al reale per trasformarsi nel soggettivismo terrificante e disumano di chi è in rimasto ancora in vita. E poi c'è l'altra storia, quella del sopravvissuto rientrato in Italia: al capezzale di Amadei, all'ospedale militare del Celio a Roma, si recano in doverosa processione i rappresentanti delle istituzioni, le alte gerarchie militari, gli uomini politici, i giornalisti e tutta la carovana del mondo mass-mediatico, pronti a celebrare l'eroe e gonfiare le pagine scritte e i discorsi pubblici della retorica dei "caduti per la patria" e dei sacrifici per la democrazia e la libertà da esportare a popoli inferiori e "sfortunati". Anche in questa parte, il film diretto da Amadei risulta particolarmente convincente e sincero, in grado di smascherare la facciata delle celebrazioni nazionalistiche, per guardare con occhio più lucido e umano le vicende realmente accadute: perché questo conflitto? E poi i morti iracheni non sono sullo stesso piano di quelli italiani? E di quelli americani, inglesi, spagnoli e altri ancora? Dov'è il senso di tutto ciò? Ecco, un altro merito del film è il seguente: lasciare al realismo delle immagini e al prorompere delle emozioni, senza sventolare nessuna bandiera di semplicistico e ingenuo pacifismo, il compito di condurre lo spettatore verso un'analisi oggettiva e individuale di quella insensata operazione militare che è stata l'invasione dell'Iraq; e di cui Nassiriya resterà nei libri di storia come una drammatica pagina macchiata di sangue. Un plauso, inoltre, agli attori, da Vinicio Marchioni (Amadei nel film) a Carolina Crescentini, da Giorgio Colangeli ad Alberto Basaluzzo. A Venezia il film ha ricevuto 14 minuti di applausi, con la gente in piedi commossa e con le lacrime agli occhi: umano, fortissimamente umano di fronte al racconto di chi, per puro caso, non è saltato in aria in mille brandelli quel 12 novembre del 2003 e che ora vuole riportare la sua versione dei fatti, quella durata appunto lo spazio di venti sigarette fumate nel brevissimo lasso di tempo di quei pochi giorni del novembre 2003, dall'arrivo al campo all'esplosione e poi fino a quello che è successo dopo. E la sua versione non può che colpire, perché vera, perché amara, perché vissuta e tremendamente personale.
(di Michele Canalini )
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