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13 ASSASSINI - RECENSIONE |
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Locandina "13 assassini" |
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13 assassini - recensione
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Non me ne vogliano i fanatici dell'uno e dell'altro partito della retorica machista e bellicista, ma "13 assassini" del giapponese Miike è un "300" in salsa di soia, grafica fumettistica e muscolatura omerica a parte. Futile rintracciare in questo war movie di due ore e tanto sangue un'ispirazione diversa da quella che ha mosso tutto il genere epico-guerresco da "Ben Hur" a oggi. Alla base del racconto ci sono tutti i vettori fiabeschi di Propp adattati al cinema, dall'eroe buono (il nobile samurai Shinzaemon Shimada, comandante di una sparuta ciurma di tredici guerrieri) al nemico-antagonista (il capobranco rivale Hanbei), dall'obiettivo dell'azione (l'omicidio dello spietato signore feudale Naritsugu) alla catena di ostacoli e imprevisti frapposta tra l'inizio e la fine. E l'abc della storia del cinema insegna che i generi più canonici, i contenitori di plot |
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più votati alla stabilità sono le love story e i western, a qualunque latitudine e in qualunque lingua si dica ti amo o ti ammazzo . Il film di Miike pesca a piene mani nella ribollita di luoghi comuni dell'action movie all'orientale, miscelando didascalismo fotografico, eleganza, ritualità e retorica guerresca. Ma lo fa con discreta perizia, sfruttando la vocazione surrealista e il retrogusto fiabesco delle saghe del Sol Levante, senza per |
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questo trascurare il legame storico con i temi della vessazione e del riscatto, con il gerarchismo feudale e l'atavica sete di libertà del popolo nipponico. Sta proprio in questo corretto dosaggio di favolismo e di nazionalismo nostalgico, la riuscita del film: "13 assassini" non delude l'orizzonte d'attesa di chi spasima per il kung-fu acrobatico e lo spiritualismo militare degli iloti orientali, ma non sguazza in una stanca melassa da combattimento. Punta più in alto: a convincere non solo sul piano narrativo ma anche su quello estetico, solleticando la curiosità occidentale per i misteri dell'etica e dei riti orientali. Un'arma spuntata, dirà qualcuno. Un evergreen sfiorito. Forse. O forse no.
(recensione di Elisa Lorenzini )
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