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Si chiama “10
canoe” uno degli
ultimi pupilli in
35 mm. Giunto agli
occhi del grande pubblico
direttamente dalla
Croisette, la nuova
pellicola di Rolf
de Heer- firmata a
quattro mani con Peter
Djigirr- rappresenta
una delle sorprese
più gradite
di questa primavera
povera di colpi ad
effetto. Fuori dalla
scene da “Alexandra’s
Project”, datato
2003, il regista di
origine australiana
decide di regalarsi
un ritorno degno di
nota- quantomeno per
quel manipolo di cinefili
d’eccezione,
attenti alle piccole
gemme, capaci di germogliare
qua e là nello
sterminato panorama
main stream. Il film
di De Heer, in concorso
e vincitore a Cannes
nella sezione “Un
certain regard”
e firmato insieme
alla popolazione della
piccola cittadina
di Ramingining, è
concepito come la
più classica
delle fiabe. Ambientato
nei tempi in cui la
popolazione bianca
non |
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aveva
ancora
colonizzato
il nord
del
paese,
"10
canoe"
è
la storia
di Dayindi,
giovane
appartenente
alla
tribù
Yolgnu,
e del
suo
innamoramento
verso
una
delle
tre
mogli
prese
in dote
dal
fratello
maggiore.
Su questa
premessa
è
costruita
l’intera
sinossi,
basata
sul
racconto
che
Minygululu
narra
al giovane
ed innamorato
fratello
minore,
al fine
che
lo stesso
si redima
e non
dimentichi
gli
insegnamenti
e le |
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leggi che
regolamentano
il quieto
vivere del
popolo. Ed
ecco irrompere
nel plot la
fiaba; così,
infatti, può
definirsi
la storia
di Yeeralparil
e del suo
folle invaghirsi
per la bellezza
della cognata.
È una
storia che
si perde nella
notte dei
tempi e che
della fiaba
conserva un
incedere leggero,
scorrevole,
seppur macchiato
di sangue,
punizioni
e morte; fino
alla soluzione
tragicomica
finale, atta
a dimostrare
quanto l’uomo
debba sempre
rispettare
le leggi che
regolano la
convivenza
collettiva,
anche quando
le stesse
risultano
tanto assurde
quanto fuori
dal tempo.
La genialità
di De Heer,
oltre che
nell’utilizzo
di una fotografia
scattante
ma nitida
(il film è
infatti costruito
su alcune
foto scattate
negli anni
’30),
è il
tocco antropologico
che il cineasta
australiano
conferisce
al sottobosco
narrativo.
Oltre che
una puntuale
ricostruzione
storiografica
della vita
dei popoli
delle terre
di Arnhem,
la pellicola
finisce per
essere una
sorta di documentario
su un “paradise
lost”,
che l’ingordigia
e l’arrogante
superiorità
della popolazione
bianca è
venuto a minare,
fino a provocarne
la diaspora
intorno agli
anni ’70.
Soltanto questo?
Non credo;
in "10
canoe"
si può
leggere come
questo affresco
particolare
sia il punto
di partenza
per una riflessione
generalizzante,
nella quale
non resta
che constatare
quanto, al
giorno d’oggi,
gli interessi
e la moneta
stiano gradualmente
prendendo
il sopravvento
su valori,
virtù
e tradizioni.
Il tutto detto
senza essere
gridato, ma
lasciando
parlare la
poesia di
ambienti,
rumori ed
immagini appartenenti
ad un mondo
che ormai
non c’è
più.
(di Marco
Visigalli
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recensione del
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canoe"! |
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