VOLEVO SOLO DORMIRLE ADDOSSO
 
 

- Recensione -

 
Segnaliamo un film italiano per cui vale la pena di metter mano al portafoglio. Ci sono alcuni difetti, scelte stilistiche per lo più, ma si esce dalla sala con la sensazione di aver visto qualcosa che una volta tanto ci riguarda pericolosamente da vicino. Una domanda: quanti di noi hanno un lavoro che amano veramente? Beh quelli che rispondono di sì al quesito si divertiranno molto di più con questa pellicola. Il resto del pubblico riderà amaro e farà i conti con se stesso e le proprie scelte, spesso obbligate, lavorative. I casi sono due: o si deprimeranno o saranno un po’ più disincantati. Marco Pressi – un bravo Pasotti scanzonato e con gli occhi disperati al punto giusto - è un formatore motivazionale giovane, ambizioso e drogato di lavoro. I suoi ruffiani ma funzionali cavalli di battaglia sono Ti stimo molto e Complimenti, che  
 
durante tutta la proiezione rappresenteranno i versatili mantra per gestire ogni circostanza, imprevisto o fatto. Il giovane viene promosso e la direzione francese, costituita da un dirigente gelido e una giapponese empatica come Terminator, gli affida il compito di ridurre il personale di venticinque unità (porrei l’accento sul sostantivo unità non persone…). Il percorso per il raggiungimento dell’obiettivo è costellato  
di colloqui con personaggi di ogni tipo: la segretaria piangente, l’indignato, lo scroccone, il furbo, l’inflessibile, il parassita ma il minimo comune denominatore è la totale, desolante assenza di comprensione reciproca. Requisito necessario per ottenere il fatidico numero 25 da una parte e salvare o la capra o i cavoli dall’altra. Significativo è il dialogo tra il protagonista e il direttore delle vendite. Da memorizzare passo per passo come una sorta di ammonimento se per caso vi viene la voglia di credere a vostri dirigenti quando vi dicono siamo come una grande famiglia. Un discorso a parte è il linguaggio. Ne esistono due. Uno è quello burocratico lavorativo – poverissimo – mutuato dall’inglese che dovrebbe meglio spiegare una posizione lavorativa. Direttore del personale non è efficace come Human Resources Chief. Estremizzando, Vaffan*** non rende come F**K It e nel lungometraggio l’opzione è indispensabile per meglio inserire lo spettatore nella realtà che descrive. L’altro è quello giovanilistico che a mio parere invece spoglia i dialoghi blindandoli in un ambito troppo limitante. Questo è un difetto di peso, sempre che non sia voluto. Lo archivio come, discutibile, arbitrio stilistico del regista. Alla pellicola va riconosciuto il merito di essere graffiante, sincera. Non bara. Non mostra una tangibilità edulcorata migliorando la pessima opinione che abbiamo dei protagonisti, né tenta di controbilanciarla con atti di generosità nelle loro vite private. Questa considerazione motiva anche il titolo. Pure nel finale, intuibile, non c’è speranza. La vita gira così. Non ci sono buoni e cattivi. Tutti si aggrappano a qualcosa per sopravvivere e mi sa tanto che ci somigliano molto…
(di Daniela Losini )
 
 
   
 

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